“Ed ora come festeggerai?” gli hanno chiesto. E Chris ha spiazzato tutti a cominciare da chi, tra dubbi e pregiudizi, mai avrebbe pensato che un giovanotto con la sindrome di Down sarebbe stato capace di arrivare alla fine di un Ironman,  la sfida più dura che, per chi non è del mestiere, sono 3,8 chilometri di nuoto, 180 chilometri in bici e una 42 chilometri di corsa tutti insieme, tutti di un fiato, senza fermarsi. Non c’era mai riuscito nessuno, lui sì: “E per festeggiare ho già scelto una discoteca e ci andrò appena mi sarà passato il dolore al sedere per e tante ore passate in bici- ha risposto al giornalista di Runners World he lo intervistava-  Inviterò un po’ di ragazze bionde che fumano…”.

Un’altra storia. A cui sicuramente ne seguirà un’altra e un’altra ancora perche Chris Nikic non si fermerà qui.  Ventun anni, nato e cresciuto in Florida,   ad appena 5 mesi di vita subisce un intervento a cuore aperto e fino ai 3 anni è costretto a camminare con un deambulatore.  Ma,  con l’aiuto dei suoi genitori ce la fa,  fa progressi ed è lo sport a sostenerlo nella sua crescita. A  9 anni entra nella squadra paralimpica americana come golfista e nel 2016, dopo essersi cimentato nel nuoto, nel basket e sulle piste di atletica comincia a gareggiare nel  triathlon “perchè – racconta- è l’unico sport che non mi annoia”.

Ma ha un problema alle orecchie che complica non poco i suoi allenamenti in acqua e quindi finisce nuovamente in sala operatoria. Tre interventi che lo tengono fermo per due anni e lo debilitano a tal punto che quando  torna a fare sport, nel 2019, riesce a malapena a nuotare in una piscina e a correre a 100 metri. Di pedalare in bici neppure a parlarne: non riesce a salire in sella.  Ma non si arrende. E’ abituato a lottare contro le difficoltà e contro le barriere che la vita pone da sempre sul suo cammino: “La cosa che mi ferisce di più è essere considerato uno stupido- racconta in una intervista a Usa Today– Non mi va quando mi considerano “meno” dei miei coetanei. E lo sport per me è  fondamentale non come rivalsa ma perchè mi ha permette di far qualcosa insieme agli altri, di far parte di una squadra, di uscire dall’isolamento…”.

E allora il triathlon torna in cima ai suoi pensieri e in cima alla sua vita. Quattro ore di allenamento al giorno per sei, sette giorni la settimana: fatica, sacrifici ma soprattutto tanta gioia. E tornano le gare.   Sei  triathlon sprint, uno su distanza olimpica e  un mezzo Ironman ad agosto dell’anno scorso a Panama con il chiodo fisso in testa di diventare il primo ragazzo con sindrome di Down a concludere un Ironman completo e sempre seguito dal suo fido allenatore Daniel Grieb: “Non gli importa vincere- racconta- si dà degli obiettivi cercando  di ispirare persone che come lui sono nati con la sindrome di Down. Grazie al triathlon sta inconsciamente imparando a vivere in modo indipendente ed è incredibile se uno pensa che fino a qualche anno fa dipendeva completamente dalle persone che si occupano di lui . Sta imparando non solo a diventare un atleta migliore, ma anche un uomo migliore”.

Sfide enormi, entrambe.  E pochi giorni, nel Golfo del Messico, in 16 ore, 46 minuti e 9 secondi questo ragazzo americano che sta diventando un simbolo per tanti suoi coetanei, ha portato a termine l’Ironman della Florida. Nesuno “sconto” se fosse arrivato al traguardo solo 13 minuti dopo il risultato non sarebbe stato omologato. Ma sinceramente non sarebbe cambiato molto. Ora il sogno è partecipare alla finale del mondiale Ironman che ogni anno si svolge a Kona, e che è un Santo Graal per tutti i triatleti figurarsi per lui.

Ma in realtà il sogno è un altro, quello di suo padre che racconta:  “Mia figlia, Jacky, è un’atleta dotata e l’ho sempre trattata come «dotata», mentre trattavo Chris come «speciale». A volte «speciale» significa che non può fare qualcosa. Perciò non ho dato a lui le stesse possibilità che ho dato a sua sorella, ed era per proteggerlo. Ma due anni fa ho cominciato a trattarlo come dotato e pochi giorni fa ha finito un Ironman…”.  Che per un genitore come Nick non è solo la soddisfazione di vedere un figlio che termina un’impresa straordinaria ma  molto, molto, di più: ”  “Quando hai un figlio con bisogni speciali- confessa-  una delle cose a cui pensi spesso è se ce la farà quando non sarai più con lui come genitore. Ti chiedi se sarà in grado di prendersi cura di se stesso, di vivere senza di te. L’aver completato un Ironman è più del raggiungimento del traguardo,  mi dice che andrà sempre bene anche quando io me ne sarò andato…”