Come in un film ad altissima tensione, l’happy end è arrivato all’ultimo secondo. Approvato al Senato, con una maggioranza schiacciante – 89 voti favorevoli, 8 contrari – l’accordo sul testo per evitare il fiscal cliff  (precipizio fiscale) raggiunto in extremis tra Casa Bianca e repubblicani. L’accordo, chiuso dal vicepresidente Joe Biden (nella foto) e dal leader della minoranza repubblicana al Senato Mitch McConnell, prevede l’aumento delle tasse a chi guadagna più e rinvia di due mesi i tagli alla spesa pubblica. L’intesa è già stata siglata dalla leader dei democratici alla Camera dei rappresentanti Nancy Pelosi e dal suo collega al Senato Harry Reid.

Cosa si è evitato: senza l’accordo sarebbe scattato il cosiddetto baratro fiscale, con l’immediato aumento delle tasse, dal 1° gennaio, per il 98% degli americani e i tagli indiscriminati alla spesa pubblica. Sarebbe stato un colpo molto duro all’economia degli Stati Uniti, che ancora fatica a ripartire con slancio.

Molto soddisfatto il presidente Obama, che guarda già alle prossime sfide: “C’é ancora molto lavoro da fare per ridurre il debito americano e l’accordo raggiunto assicura che la riduzione del deficit comprenderà tagli alla spesa ed aumento delle tasse per gli americani più benestanti”. Poi ha aggiunto: “Né i democratici né i repubblicani hanno ottenuto tutto quello che volevano, questo accordo è la cosa giusta da fare per il nostro Paese e la camera dei Rappresentanti dovrebbe votarlo senza ritardi”.

Cosa prevede l’accordo: sui redditi individuali sopra i 400mila dollari le imposte aumentano dal 35% al 39,6% (l’aumento scatta dai 450mila dollari sui redditi familiari); proroga di un anno dei benefici legati all’indennità di disoccupazione; il mantenimento delle aliquote dell’attuale minimum tax; l’estensione per cinque anni dei crediti di imposta anche per l’infanzia e i mutui degli studenti per il college; l’innalzamento dal 35% al 40% della tassa di successione; un’aliquota al 23,8% delle tasse sui dividendi e i capital gains per le famiglie più ricche.

Vittoria per Obama? Tutto sommato sì. Anche se, a onor del vero, il presidente si era battuto con tutte le sue forze per aumentare le tasse a partire dalla soglia (più bassa) dei 250 mila dollari. Ma ci sono altri punti su cui la Casa Bianca può dirsi soddisfatta: in primis l’aumento della tassazione dei capital gains dal 15 al 20%. Poi il taglio di alcune esenzioni fiscali sopra i 200 mila dollari. Se Obama deve accettare, obtorto collo, alcuni tagli al Medicare (Sanità), i tagli sulle spese per il Pentagono (che i democratici volevano e i repubblicani osteggiavano) sono rinviati di almeno 60 giorni, così come tutti i tagli automatici previsti dai meccanismi del fiscal cliff (pari a 110 miliardi di dollari).

L’accordo per scongiurare il fiscal cliff, dunque, è una vittoria anche di quei repubblicani moderati che hanno capito che un compromesso era necessario e che andare avanti con il muro contro muro avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutto il Paese. L’ala destra del Gop continua ad alzare la voce promettendo battaglia contro l’aumeto delle tasse. I democratici liberal (quelli più a sinistra) criticano Obama per le troppe concessioni fatte ai repubblicani. Insomma, sembrano tutti scontenti. Ma un compromesso, per definizione, deve scontentare un po’ tutti. Altrimenti che compromesso sarebbe? Il braccio di ferro comunque prosegue. Entro marzo si renderà necessario un nuovo intervento da parte del Congresso. Restano aperti i problemi di come raggiungere l’obiettivo (ambizioso) di ridurre di 4mila miliardi di dollari in dieci anni il disavanzo pubblico. In altre parole, di quali e quanti tagli fare, sperando che l’economia torni a respirare a pieni polmoni.

 

 

Tag: ,