L’uso delle armi chimiche da parte delle forze di Assad e il maggior coinvolgimento di Hezbollah “minacciano di rendere impossibile il raggiungimento di una soluzione politica del conflitto”, ha detto il segretario di Stato Usa John Kerry. In una nota il capo della diplomazia americana ribadisce che “gli Stati Uniti continuano a lavorare strenuamente per una soluzione politica in Siria, da portare al tavolo del vertice di Ginevra, ma che l’uso delle armi chimiche e il crescente coinvolgimento di Hezbollah dimostra la mancanza di impegno del regime di Damasco nei confronti della trattativa e minaccia di mettere la soluzione politica fuori portata”. 

Ci si incammina, dunque, verso l’inevitabile inasprimento delle ostilità. La Cia, scrive il Washington Post, si  prepara a consegnare armi ai ribelli siriani attraverso basi segrete in Turchia e Giordania. Le forniture di armi e munizioni potrebbero iniziare nelle prossime settimane. E i timori di andare a rafforzare gli estremisti? La Cia è convinta di avere un quadro abbastanza chiaro della composizione delle forze ribelli presenti in Siria. E, proprio per questo, il rischio di andare ad armare forze filo jihadiste sembra minimo. Almeno sulla carta. L’intelligence americana da almeno un anno ha ufficio che si occupa della Siria, in vista di un possibile coinvolgimento operativo delle forze Usa. Anche se per ora si parla solo di un supporto materiale. In un briefing alla Casa Bianca il consigliere del presidente per la Sicurezza nazionale, Ben Rhodes, ha detto che gli Stati Uniti sono ora in grado di consegnare armi “non solo nel Paese”, ma anche “nelle giuste mani”. Secondo il Washington Post le forniture di armi della Cia punteranno a rafforzare il Consiglio militare supremo guidato dal generale Salim Idriss. E’ lui il punto di riferimento affidabile. Ed è lui che, di recente, ha incontrato in Siria il senatore John McCain, che da tempo si batte per un impegno diretto degli Usa contro Assad.

Il peso delle forze estremiste in Siria tra le fila dei ribelli è “inferiore al 10%”: lo stimano i rapporti dell’intelligence Usa citati dal quotidiano di Washington. Le forze anti-Assad potrebbero contare su circa 70.000 armati, e secondo funzionari Usa la svolta dell’amministrazione Obama che ha deciso di inviare armi “avrà un positivo
effetto psicologico sui ribelli, impauriti da una visione esagerata della forza dell’esercito siriano e degli alleati Hezbollah”.

L’uso delle armi chimiche da parte del regime di Damasco ha tolto ogni indugio alla Casa Bianca, spingendola ad armare i ribelli contro Assad. Obama avrebbe deciso già alla fine di aprile, quando ordinò di avviare la pianificazione sul tipo di armi da fornire e le modalità di consegna. Come sottolinea il Washington Post “la decisione di Obama di iniziare ad armare i ribelli siriani arrivi dopo oltre un anno di dibattito interno”. Un dibattito faticoso contraddistinto da un profondo disaccordo tra quanti nella Casa Bianca, in particolare i consiglieri del Presidente, erano contrari al coinvolgimento Usa nel conflitto, e il Dipartimento di Stato, convinto invece della necessità di un intervento per scongiurare il caos in Siria e nell’intera regione.

A spingere Obama a sbloccare la situazione a favore dei ribelli sarebbe stato il crescente successo, sul terreno, da parte del regime siriano, ottenuto grazie all’aiuto delle milizie di Hezbollah e dell’Iran. Due “amici” di Assad considerati decisamente pericolosi per gli equilibri dell’area mediorientale.

Intanto il quotidiano britannico Times scrive che trecento marines Usa sono stati inviati nel nord della Giordania per facilitare la fornitura di armi occidentali ai ribelli siriani. I militari americani si trovano a nord di al Mafraq, nella stessa area dove sono stati trasferiti i missili Patriot per proteggere la Giordania da eventuali attacchi di Damasco. Ufficialmente non saranno impiegati per l’addestramento dei ribelli né per operazioni offensive in Siria.