Rick Perry, governatore del Texas, è raggiante: “Oggi il Parlamento del Texas ha superato l’ultima tappa della nostra storica battaglia per la vita”. Il motivo di tanta felicità è l’approvazione, da parte del Senato texano, di un disegno di legge sull’aborto considerato tra i più restrittivi degli Stati Uniti.  L’interruzione della gravidanza dopo 20 settimane è vietato (l’attuale limite statale è di 26 settimane), tranne nel caso in cui la donna sia in pericolo di vita. Previsti controlli più severi sui medici e obbligatoria la presenza di un dottore durante la somministrazione della pillola abortiva.  Le cliniche per l’aborto e i medici che vi operano dovranno adeguarsi agli stessi standard dei normali centri chirurgici, che hanno regole e prassi più severe. Il via libera alle legge è arrivato nonostante la mobilitazione dei gruppi “pro-choice” e la maratona oratoria della senatrice democratica Wendy Davis, che il 25 giugno aveva parlato per 13 ore di fila pur di impedire l’approvazione entro i termini.

I militanti pro-aborto sostengono che la nuova legge provocherà la chiusura di quasi tutti i centri che praticano l’interruzione di gravidanza in Texas, lasciandone operativi non più di 5 su 42. Gli oppositori hanno manifestato davanti al Senato, circondato dalla polizia. Tafferugli all’interno dell’edificio, con alcuni manifestanti che si sono incatenati alla balaustra della tribuna del pubblico per evitare di essere sgomberati. Sequestrato bottigliette riempite di urina ed escrementi.

L’aborto è legale negli Stati Uniti da una sentenza della Corte suprema del 1973, la storica sentenza “Roe contro Wade“. Negli ultimi anni i conservatori si sono  prodigati molto per adottare leggi che restringessero il più possibile la pratica dell’aborto. L’obiettivo è quello di contrastare la legge federale, in modo tale da far scoppiare il caso davanti alla Corte Suprema per ottenere una modifica (o l’abolizione) della contestata sentenza.

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