L’America non molla la presa sulla Siria. In un discorso pronunciato all’accademia militare di West Point, Barack Obama ha annunciato il cambio di linea: basta tentennamenti, gli Stati Uniti rafforzeranno il loro appoggio ai ribelli siriani che combattono contro le forze di Assad, per aiutarli anche nello scontro con i rivali estremisti.“Lavorerò con il Congresso per rafforzare il sostegno all’opposizione siriana che rappresenta la migliore alternativa ai terroristi e ad un dittatore brutale”. Il cambio di rotta era stato anticipato dal “Wall Street Journal“, che aveva accennato all’intenzione della Casa Bianca di addestrare i “ribelli moderati“: una mossa, questa, che amplierà il ruolo di Washington nel conflitto siriano. La Casa Bianca è convinta della necessità di costruire nel paese arabo una forza in grado di contrastare al Qaeda. E per ovvie ragioni gli aiuti militari forniti ai ribelli non possono finire col rinforzare gli estremisti come Jabhat al Nusra e lo Stato islamico. Dunque, spazio ai moderati, che ci sono e vanno aiutati a crescere (addestramento e armi) per permettere loro di imporsi sul campo. Con questa decisione Obama risponde alle critiche interne (di lassismo e inettitudine in politica estera) ma anche alle forti pressioni degli alleati mediorientali che da tempo lo accusano di aver snobbato i combattenti moderati favorendo, di fatto, l’ascesa degli estremisti. C’è da sottolineare che in Siria da tempo era già in corso un addestramento dei ribelli, affidato alla Cia e con un numero di addestrati esiguo. Ora l’operazione potrebbe passare al Pentagono ed essere numericamente molto più massiccia.

“Con le risorse aggiuntive che ho annunciato oggi – ha detto Obama a West Point – aumenteremo i nostri sforzi per sostenere i vicini di Siria, Giordania, Libano, Turchia e Iraq; i Paesi che ospitano rifugiati e affrontano terroristi che operano al di là del confine siriano. Lavorerò con il Congresso per aumentare il sostegno agli elementi dell’opposizione siriana che offrono l’alternativa migliore ai terroristi e a un dittatore brutale”. Il presidente ha chiesto al Congresso di dare il proprio sostegno alla creazione di un fondo da 5 miliardi di dollari per sostenere altri Paesi nella lotta al terrorismo.

“Come presidente ho deciso che non dovremmo inviare soldati americani in mezzo a questa guerra civile sempre più settaria e credo che sia la decisione giusta”, ha aggiunto Obama, chiarendo che “però questo non significa che non dovremmo aiutare il popolo siriano a resistere a un dittatore che bombarda e fa morire di fame i propri cittadini”. Poi ha concluso: “Aiutando coloro che lottano per il diritto di tutti i siriani a scegliere il proprio futuro, respingiamo anche il numero crescente di terroristi che hanno trovato rifugio nel caos”. “Questo ci permetterà – ha aggiunto Obama – di formare e rafforzare le capacità operative dei paesi, nostri partner, che sono in prima linea in questa lotta. Si tratta di risorse che ci daranno la flessibilità necessaria per svolgere diverse missioni, compresa la formazione delle forze di sicurezza in Yemen che stanno continuando l’offensiva contro al Qaeda, il supporto per una forza multinazionale per mantenere la pace in Somalia, lavorare con gli alleati europei per formare le forze di sicurezza libiche e le forze di polizia ai confini. E ancora – ha concluso Obama – collaborare con le operazioni militari francesi in Mali“.

“La situazione in Siria è molto peggiorata, ma in compenso i settori moderati dei ribelli appaiono in crescita, anche se non ancora militarmente all’altezza delle fazioni islamiste radicali”: questa è la valutazione che Obama ha espresso in un’intervista al network radiofonico americano Npr. “Penso che sotto molti aspetti le condizioni in Siria ora siano peggiori. Tuttavia le capacità di una parte dell’opposizione sono adesso migliori di quanto non fossero in precedenza, e ciò è comprensibile”. Obama ha osservato che ai moderati ostili al regime di Assad occorrerà tempo per organizzarsi meglio e prevalere sulle milizie estremistiche, temprate dall’abitudine alle armi. “Quando si parla dell’opposizione moderata siriano – ha spiegato – ci si riferisce a molte persone che prima erano agricoltori, oppure dentisti, o anche giornalisti radiofonici, i quali dunque non possedevano una grande esperienza nel combattere”. 

I repubblicani non si sono fatti convincere da Obama (salvo, forse, il solo John McCain), così come il presidente non ha convinto gran parte degli analisti di politica estera, che vedono lo scenario disegnato dal presidente – un Paese diviso tra isolazionisti e interventisti a oltranza – come una rappresentazione non realistica che guarda, più che altro, alle elezioni di Midterm.

Il discorso di Obama è stato stroncato dal New York Times, dal Washington Post e dal Wall Street Journal. “Un messaggio – attacca l’editoriale del Nyt – che non ha corrisposto alle attese, poco interessante, senza un’idea strategica, che
non riuscirà a placare i detrattori di Obama, da destra e da sinistra. Il presidente ha fornito pochi indizi su come ha intenzione di andare avanti nei prossimi due anni”. Per il Wsj Obama ha detto poco o nulla sui dossier delicati, dalla Siria alle relazioni con la Russia o sul negoziato in Medio Oriente: “Sappiamo che nessun discorso di politica estera è mai in grado di coprire il mondo intero. Ma ascoltando Obama, mentre cercava di assemblare una agenda di politica estera coerente dai risultati degli ultimi cinque anni, è stato come guardare Tom Hanks che cerca di sopravvivere in Cast Away: cercando di andar avanti e fare quello che può con le macerie che gli sono rimaste”.
Molto duro anche il giornale della capitale: “Il presidente Obama – scrive il Washington Post – ha ridimensionato l’impegno globale degli Stati Uniti in un modo che ha scosso la fiducia di molti dei suoi alleati e incoraggiato alcuni suoi avversari. Troppa retorica e poca politica”.

Il discorso di Obama a West Point

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