Dopo il “caso Ferguson” e quello di New York, con due Grand Jury che hanno deciso di non incriminare i poliziotti rimasti coinvolti nella morte di due afroamericani (Michael Brown ed Eric Garner), l’America è una polveriera. La Casa Bianca ha reagito condannando le violenze, di ogni tipo, cercando al contempo di affrontare le tante (troppe) situazioni in cui la rabbia delle comunità nera era esplosa, nei sobborghi ma non solo, a seguito di decisioni a dir poco imbarazzanti, con le autorità che subito si erano schierate dalla parte degli agenti senza neanche imbastire un processo, nel corso del quale potesse emergere tutta la verità. In questo modo è prevalsa, in più di un’occasione, la sensazione che gli agenti godessero di un’immunità che li proteggeva nei casi di abusi. E si è capito che ormai certe pratiche delle forze dell’ordine sono ai limiti della costituzionalità, o per meglio dire, contrarie ai principi base dello stato di diritto. Così Obama ha dato incarico al suo ministro della Giustizia, Eric Holder, di correre ai ripari. Gli Stati Uniti sono pronti a voltare pagina: basta persone fermate, controllate, perquisite o indagate solo per il colore della pelle. Una svolta antirazzista che si affianca alla già annunciata stretta sulla polizia. Per la prima volta sul piano nazionale sarà messo al bando il cosiddetto “racial profiling“, la controversa pratica secondo cui i fattori razziali diventano fondamentali nel configurare (e determinare) l’intervento da parte delle forze dell’ordine.

Da sempre le associazioni per la difesa dei diritti civili bollano queste pratiche come illegali. E più volte il presidente si è detto contrario a loro utilizzo, anche se mai è stato fatto alcunché di concreto per limitarle. Il concetto di “profilazione razziale” – come sottolinea il Washington Post – sarà inoltre esteso in modo da evitare che gli agenti dell’Fbi, nell’aprire un’indagine, possano considerare determinanti anche fattori come la religione e la nazionalità di origine. Restano delle eccezioni, legate alla lotta al terrorismo e all’emergenza dell’immigrazione clandestina. Le nuove regole che mettono al bando la profilazione razziale, infatti, non varranno per molti agenti e funzionari dipendenti dal Department of Homeland Security, quelli che si occupano dei controlli negli aeroporti o ai confini meridionali degli Stati Uniti. Una decisione questa – sottolinea il Post – a cui si è arrivati dopo un duro scontro all’interno dell’amministrazione, con alcuni alti dirigenti contrari ad esentare gli uomini della Transportation Security Administration (Tsa) e quelli dello Us Customs and Border Protection. Insomma, si è deciso che in nome della sicurezza fosse utile mantenere la massima inflessibilità-rigidità dei controlli, andando a etichettare come “possibili terroristi” coloro che provengono da certe zone del mondo e presentano determinate caratteristiche fisiche. In tutti gli altri casi (le normali operazioni di polizia) Lombroso viene messo al bando.

La polizia non ci sta a passare per razzista e fa sentire la propria voce, sottolineando che le strade e i quartieri da controllare sono una giungla (solo quest’anno sono morti oltre 100 agenti in servizio). I pericoli ci sono e i poliziotti ne corrono tanti. Cambiare le regole d’ingaggio, riducendo la possibilità di intervento (e di uso delle armi) dei poliziotti, potrebbe essere molto pericoloso. Un problema complesso e di difficile soluzione, con evidenti implicazioni politiche. Alla fine è il buon senso che dovrebbe prevalere, con la punizione di chiunque vada contro la legge, siano essi delinquenti o poliziotti con il grilletto troppo facile.

 

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