Sono venti i capi d’accusa che la Commissione di vigilanza sui servizi segreti del Senato Usa muove, nero su bianco, contro la Cia relativamente agli abusi compiuti nell’ambito del “Programma speciale di detenzione“, dal 2001 (dopo l’11 Settembre) al 2006. Vediamo di cosa si tratta: in primo luogo sarebbero state impiegate tecniche di interrogatorio “rafforzate” (mediante vere e proprie torture). Purtroppo, però, nonostante queste tecniche i prigionieri non avrebbero fornito informazioni utili. Questo “insuccesso” non è un dettaglio secondario, visto che la Cia ha sempre giustificato i metodi duri parlando di efficacia e necessità. Evidentemente, però, tanto efficaci non erano. Le tecniche utilizzate per condurre gli interrogatori, ad esempio mediante il waterboarding (annegamento simulato), sarebbero state ben peggiori rispetto a ciò che è stato riferito alle forze politiche. E lo stesso discorso vale per le condizioni di detenzione (molto più dure di quanto era a conoscenza dei membri del Congresso).

La Cia ha omesso di fornire i dettagli al Dipartimento di giustizia, impedendo così al governo la possibilità di compiere una seria analisi sulla legittimità giuridica del “Programma di detenzione”. Inoltre la Cia ha impedito (secondo l’accusa volutamente) o comunque fatto di tutto per evitare la supervisione del programma da parte del Congresso né tantomeno della Casa Bianca. Ed ha eluso i controlli dell’Ispettore generale dell’agenzia. Ma se è davvero così a chi rispondeva la Cia, se non forniva dettagli di un’operazione così importante al Congresso e al Presidente e non sottostava al proprio organismo di autocontrollo interno? Un’altra accusa molto grave che emerge: con il proprio comportamento Langley ha reso più difficile se non addirittura impedito le missioni di altre agenzie di sicurezza.

Nella comunicazione coi media la Cia sarebbe stata ben attenta a diffondere notizie non accurate circa l’efficacia dei metodi utilizzati. Li spacciava come “risolutivi” e “fondamentali”, anche se spesso non lo erano affatto. L’agenzia, secondo il rapporto della Commissione di vigilanza, ha gestito il “Programma di detenzione” in modo lacunoso e carente, soprattutto tra il 2002 e l’inizio del 2003. Inoltre, sei mesi dopo l’approvazione del Programma, esso non era ancora stato avviato.

Fari puntati anche sui costi dell’operazione: nel 2006 ammontavano a circa 180 milioni di dollari, con ampio ricorso a risorse esterne già dal 2005. A ideare le particolari tecniche rafforzate di interrogatorio sarebbero stati due psicologi a contratto, che giocarono poi un ruolo fondamentale anche nella valutazione e nella gestione di tutto il Programma. Di fatto ai detenuti venivano riservati “trattamenti speciali” non approvati né dal Dipartimento di giustizia e nemmeno autorizzate dai responsabili della Cia. E la legalità sarebbe venuta meno anche sotto un altro punto di vista: non vi è mai stato, infatti, un resoconto dettagliato sul numero e sull’identità dei detenuti e non sono stati rispettati gli standard legali per la detenzione. Anche quando sono trapelate notizie sugli abusi compiuti nei campi di detenzione (vedi Guantanamo) la Cia quasi mai è intervenuta sanzionando i propri uomini che, di fatto, hanno sempre beneficiato di una sorta di speciale immunità. Ed eventuali critiche o resistenze interne, da parte di chi storceva la bocca di fronte a certe pratiche, sono state messe a tacere e marginalizzate.

Il Programma speciale di detenzione è andato avanti fino al 2006. A porvi fine sono state le notizie, uscite sulla stampa, sugli abusi compiuti, unitamente alle possibili conseguenze legali. Secondo la Commissione di vigilanza il “Programma” ha causato gravi danni d’immagine, nel mondo intero, non solo alla Cia ma a tutti gli Stati Uniti. Con pesanti ripercussioni economiche.

Cinque anni di lavoro, migliaia di pagine e documenti, 40 milioni di dollari spesi. Sono i numeri del rapporto che ha scosso l’America. In sostanza l’accusa mossa alla Cia è quella di aver causato sofferenze e dolori ai prigionieri “con metodi che vanno ben oltre i limiti previsti dalla legge”. Metodi ancor più brutali “di quanto fosse stato anticipato al pubblico in questi anni”. Tutto questo con scarsissimi risultati e, soprattutto, senza che nessuna autorità politica fosse debitamente informata. Almeno così pare dal rapporto. “Il programma ha permesso di catturare importanti leader di al Qaeda e impedire loro di compire azioni di guerra”, ha detto George Tenet, capo della Cia quando l’America finì sotto l’attacco dei terroristi. “E questo (il Programma, ndr) ci ha permesso di salvare migliaia di vite di americani”. Stando a quanto appurato dalla commissione, però, le cose sono andate diversamente.

In buona sostanza ora, dopo tutte queste accuse, cosa succede? Praticamente nulla. Obama ha solennemente promesso che fin quando sarà lui presidente farà di tutto “per assicurare che non faremo mai più ricorso a questi metodi”. Mettendo un attimo da parte il libro delle buone intenzioni, sempre pieno di propositi interessanti, pare quasi certo che non vi saranno procedimenti penali. La conferma arriva dal dipartimento di Giustizia: nessuno verrà perseguito, salvo clamorose novità. Probabilmente questo è stato lo scotto da pagare, nel braccio di ferro tra democratici e repubblicani, prima del via libera alla pubblicazione del dossier. Ma a cosa è servito, dunque, tutto questo clamore? A fare vedere quanto sono bravi e umani i democratici e quanto per contro sono cattivi i repubblicani? Sulla tempistica della pubblicazione ci sono pochi dubbi. Tra poche settimane, con il Senato sotto controllo dei Repubblicani, il dossier sarebbe finito in fondo a un cassetto. Quindi l’unico momento per farlo saltare fuori era questo. Sul fine, possiamo azzardare alcune ipotesi: regolamento di conti tra poteri dello Stato? Colpo di coda dell’ala ultra liberal dei democratici, prima che la corsa delle primarie riporti ordine e disciplina e imponga posizioni più moderate per puntare alla Casa Bianca? Oppure è stata la vendetta di Obama che, lontano dalle competizioni elettorali e ormai non più in grado di lasciare il segno, come forse avrebbe voluto, ha pensato di rimarcare la propria “superiorità morale” rispetto a quella di George W. che continua a dirsi orgoglioso del lavoro compiuto dagli uomini della Cia? Un altro interrogativo ancora: perché ritirare fuori questa storia ora, dopo che Obama, appena insediatosi al potere, disse pubblicamente “mai più torture” ma, di fatto, non mosse un dito per perseguire chi si era macchiato di tali comportamenti? Allora forse il presidente cercava di trovare uno spirito bipartisan. Ora non serve più e ogni mezzo è buono per rifilare bastonate agli avversari. E a chi lo accusa di eccessiva debolezza in politica estera, e di aver usato troppo alla leggera i droni, lui risponde mostrando, documenti alla mano, che i metodi speciali della Cia sono serviti a poco o a nulla. Una cosa è certa: l’America non può andare avanti in questo pericoloso gioco al massacro combattuto in nome della Sicurezza nazionale. I rischi sono troppo alti. E non solo per gli Stati Uniti.

I venti punti di domanda che mandano in crisi la Cia

Leggi il rapporto della Commissione di Vigilanza del Senato

 

 

 

 

 

 

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