Paula-Cooper_prima_e_dopoCondannata a morte a soli sedici anni per aver ucciso un’anziana professoressa, Paula Cooper è morta oggi a Indianapolis (Indiana) all’età di 45 anni. Secondo la polizia si è tolta la vita (leggi l’articolo sull’Indianapolis Star). Nel 1986 divenne un simbolo della lotta contro la pena di morte, visto che era la più giovane detenuta nel braccio della morte. Destinata all’esecuzione mediante sedia elettrica, riuscì a salvarsi grazie a una grande mobilitazione internazionale, che fece leva anche sull’atrocità di una legge, quella dell’Indiana, che ammetteva la la pena capitale persino sui bambini, purché con più di dieci anni.

Nel 1988 la Corte suprema americana proibì la pena capitale ai minori di 16 anni al momento del crimine, e la decisione fu ripresa dalla Corte suprema dell’Indiana, che commutò la pena della Cooper in ergastolo, poi in 60 anni di carcere.

L’Italia fu in prima fila nella mobilitazione per salvare la Cooper. Su iniziativa dei Radicali nacque il movimento “Non uccidere”. Papa Giovanni Paolo II chiese la grazia mentre, su iniziativa di Ivan Novelli e Paolo Pietrosanti, 2 milioni di firme vennero portate all’Onu per implorare clemenza.  Fu il primo atto di una lunga battaglia internazionale sfociata nel 2007 nel voto dell’Assemblea Generale dell’Onu che pose la moratoria delle esecuzioni.

La Cooper aveva ammesso la propria responsabilità, dicendo di aver colpito con un coltello Ruth Pelke, insegnante di religione, durante una rapina che aveva fruttato a lei e alle sue comnplici (tutte minorenni) appena dieci dollari e una vecchia automobile.

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