trump_parlaDonald Trump ha battuto un colpo (decisamente forte) per far sentire al mondo che l’America c’è, che non si è ritirata entro i propri confini, e non intende restare a guardare quello che accade senza dire la propria. Basta con la linea soft, quella che si traduceva con lo star fuori dal conflitto in Siria. Una strategia che, di fatto, aveva consegnato le chiavi di Damasco alla Russia e all’Iran. Ora l’America, sostenuta e supportata da Israele, vuol tornare a giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere mediorientale. L’attacco missilistico contro il regime di Bashar al Assad segna una svolta nel conflitto che dura da più di sei anni. Trump aveva fatto trapelare le sue intenzioni a margine del confronto con re Abdullah di Giordania: “Il mio atteggiamento su Assad è molto cambiato“. Poi, mentre Xi Jinping si trovava in Florida per il primo incontro con il leader americano, la decisione di Trump di colpire.

Nel suo discorso al Paese Trump ha spiegato che “il raid è vitale per gli interessi di sicurezza nazionale statunitense, affinché venga impedita la diffusione e l’utilizzo delle armi chimiche”. Regno Unito, Israele, Arabia Saudita, Giappone, Australia, Turchia e Italia hanno appoggiato ufficialmente l’intervento, definendolo una risposta “appropriata”. Stesso termine usato dal Pentagono.

attacco_usa_siriaUna cosa è sicura: l’operazione militare segna un deciso cambio di rotta degli Usa, che intervengono direttamente laddove Obama aveva solo minacciato di farlo, dopo gli attacchi chimici della Ghouta, a Damasco, nel 2013. È questo il segnale che Trump vuol mandare al mondo: basta con l’America debole e irrisoluta di Obama. Ora la musica è cambiata ed io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità Questo è il senso dei 59 missili Tomahawk lanciati contro la base siriana. Ma Trump vuol davvero imbarcarsi in una nuova guerra? Per il momento sembrerebbe di no. L’America vuol solo tornare a esercitare il proprio ruolo di leader anche in Medioriente. E manda anche un segnale forte a Kim Jong-un: attento, non tirare troppo la corda.

La caduta di Assad, fortemente sostenuto da Mosca e Teheran, sembrava non essere più in cima alle priorità statunitensi. Poi, con l’attacco chimico di Idlib, è arrivato il cambio di strategia. È l’inizio della fine per Assad? Ancora presto per dirlo. Assai improbabile che Trump voglia davvero imbarcarsi in una nuova avventura bellica. Di certo, come rileva Francesco Strazzari, esperto di terrorismo della Scuola Sant’Anna di Pisa, ai microfoni di RaiNews24, la sua scelta “sembra avere sovvertito le aspettative verso una presidenza che certamente non sembrava essere stata eletta per portare un’azione militare in Siria”. Trump ancora una volta ha stupito tutti.

 

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