housetrumpGovernare un paese è davvero difficile. Molto più difficile che fare campagne elettorali. Perché se prima del voto si fanno promesse e si cerca di intercettare il consenso, sulla base di un programma più o meno credibile, una volta che si hanno responsabilità di governo tutto cambia: dalle chiacchiere si deve passare ai fatti. E al di là delle buone intenzioni e della sincera volontà di realizzare quanto promesso, ci si scontra con la realtà, che è fatta, molto spesso, di durissimi scontri, difficili mediazioni e variabili del tutto imprevedibili. Di questo si è reso perfettamente conto Donald Trump, dopo i suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca. “Pensavo sarebbe stato più facile”, ha detto in un’intervista all’agenzia Reuters.

“Amavo la mia vita di prima, la amavo – afferma Trump -. Avevo così tante cose da fare. Ora assolutamente lavoro più di prima”. E ammette di rimpiangere la libertà che aveva quando era un semplice cittadino: “Anche se avevo molta poca privacy pure prima, perché ero già famoso da tempo, qui ho molta meno privacy. È qualcosa davvero di particolare. È proprio come stare in un bozzolo, perché c’è così tanta protezione, e davvero non riesci ad andare da nessuna parte”. Trump dice di rimpiangere anche di non poter più guidare: “Mi piace stare al volante e non posso più guidare”. Ma al di là di questi aspetti intimi e personali, che comunque sono interessanti, una delle cose che più affligge il presidente, politicamente parlando, è la difficoltà di fare cose. Forse si sta rendendo conto che c’è un’enorme differenza fra gli ordini esecutivi e l’effettiva realizzazione di un provvedimento, per il quale quasi sempre sono necessari dei passaggi parlamentari e, quindi, del voto favorevole dei senatori e dei deputati. Non sempre le intenzioni dei membri del Congresso coincidono con i desiderata della Casa Bianca, e non basta schioccare le dita o minacciare la non rielezione per ottenere l’appoggio sperato.

Trump_MelaniaÈ comprensibile che Trump non si aspettasse una situazxione simile, perché non aveva esperienza politica. E, forse, perché non ha visto (o non l’ha fatto attentamente) House of Cards, la celebre serie tv che descrive in modo chiaro – a volte persino didascalico – i complessi meccanismi che regolano la politica di Washington. I giochi di potere, le pressioni, i meccanismi psicologici e le debolezze umane: un sapiente mix di Machiavelli e Shakespeare.

“Se c’è uno shutdown, c’è uno shutdown”, afferma quasi sconsolato Trump, commentando l’eventualità del blocco temporaneo delle attività dell’amministrazione statunitense per il mancato accordo al Congresso sull’approvazione del nuovo budget, la legge finanziaria che stabilisce quanto denaro si potrà spendere fino al termire dell’attuale esecizio di bilancio (che scade il 30 settembre). I parlamentari Usa hanno poche ore per approvare l’intesa. Senza l’accordo scatterà lo shutdown, la sospensione temporanea delle attività dell’amministrazione Usa. “Vediamo che succederà”, commenta Trump. I repubblicani, intanto, per evitare rischi hanno presentato un provvedimento che consentirà di finanziare le attività del governo (agli attuali livelli di spesa), per un’altra settimana, in attesa di concludere i negoziati al Congresso. Serve la mediazione dei parlamentari. E non basta schiacchiare un bottone o firmare un documento.

 

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