Obama e MarchionneMolti ricordano le foto di Barack Obama con Sergio Marchionne, in uno stabilimento di Chrysler. Simbolo di uno dei più grandi colpi del manager italo-canadese. Nel 2009, dopo la gravissima crisi finanziaria di un anno prima, l’America è in affanno e dalla finanza i problemi si spostano rapidamente alle aziende. Fiat riesce ad ottenere dalla Casa Bianca il 20% di Chrysler, uno dei tre grandi colossi dell’automobilismo Usa, che dopo una fallimentare alleanza con Daimler, praticamente è fallita.

Obama non ascolta i suoi consiglieri, che gli consigliano di far fallire l’azienda, e dà fiducia a Marchionne. Di lui apprezza soprattutto due cose: da un lato la grande personalità e la sua esperienza come “risanatore” di aziende, dall’altro l’intenzione di Fiat di investire nella mobilità “verde”. È il primo passo di un percorso che porterà, nel giro di 5 anni, al controllo del 100% di Chrysler da parte del gruppo torinese, con la nascita di Fca (Fiat Chrysler Automobiles) che vede Marchionne come leader indiscusso dell’automobilismo mondiale.

Il grande copo di Marchionne non è stato solo quello di conquistare la stima del presidente americano, ma anche di portare dalla sua parte i potenti sindacati metalmeccanici Usa. Sono questi ultimi, infatti, accettando pesanti tagli alle retribuzioni e al personale, a permettere di risollevare l’azienda, riuscendo anche a chiudere tutti i contenziosi con i creditori in appena 41 giorni.

US-POLITICS-TRUMP-AUTO INDUSTRYSprofondati in una crisi mortale piano piano gli stabilimenti Chrysler e Jeep, si risollevano e tornano ad assumere, sia pure con paghe ridotte. Fca restituisce tutti i soldi avuti in credito (6,6 miliardi di dollari) da Washington, pagando pure gli interessi. Il miracolo è compiuto.

L’era Obama finisce, dopo due mandati, e alla Casa Bianca si insedia Donald Trump, sull’onda di un nuovo slogan: “Make America Great Again”. Il rapporto tra la Casa Bianca e Marchionne non cambia. Anche Trump ammira il manager italiano. E più di una volta lo elogia pubblicamente. In una riunione con tutti i big dell’industria automobilistica americana, dice che è “il suo preferito in questa stanza”. Il complimento nasce dalla ferma intenzione, manifestata da Marchionne, di continuare a investire negli Usa.

Definito da Time lo “Steve Jobs dell’auto”, Marchionne è profondamente legato alla cultura italiana, anche se, da uomo di mondo, apprezza la pragmaticità anglosassone, a partire dalla lingua. Per lui la lingua italiana “è troppo complessa e lenta… per un concetto che in inglese si spiega in due parole, in italiano ne occorrono almeno sei”.

Le tappe del miracolo americano

Nel gennaio 2009 senza tirare fuori un euro Fiat firma un accordo preliminare e non vincolante per acquistare il 35% di Chrysler, che all’epoca era detenuto per il 19,9% dalla tedesca Daimler e per il restante 80,1% dal fondo statunitense Cerberus. Nell’aprile di quell’anno, con il coinvolgimento dei potenti sindacati americani, si apre per Chrysler il “Chapter 11”, una procedura che, con la regia dell’amministrazione Obama, porta Chrysler ad una “bancarotta guidata” che spalanca le porte a Fiat. A maggio Marchionne annuncia che diventerà l’ad anche di Chrysler e a novembre di quell’anno presenta un nuovo piano industriale che prevede per Chrysler il lancio di 16 nuovi modelli. Nel primo trimestre del 2011 Chrysler a distanza di anni torna all’utile. Dopo tre anni Fiat completa l’operazione arrivando al 100% con l’acquisto, da un fondo del sindacato metalmeccanico, del restante 41,5%. Nel maggio del 2014 Marchionne presenta il primo piano industriale (al 2018) di Fca, mentre il primo agosto di quell’anno si svolge la storica assemblea straordinaria dei soci che approva la fusione di Fiat con Chrysler e con essa il battesimo ufficiale di Fca.

 

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