Usa, Donald Trump in campagna elettorale in PennsylvaniaIl 6 novembre 2018 si terranno le elezioni di medio termine (Midterm), con i cittadini americani chiamati a rinnovare i 435 membri della Camera, 35 senatori (su 100), i governatori di 39 Stati e i sindaci di diverse città. Un appuntamento come al solito molto importante per la politica a stelle e strisce, da sempre considerato cartina al tornasole per la Casa Bianca. Perché l’esito di queste elezioni può determinare i successivi due anni della politica del presidente, con la conservazione (o meno) della maggioranza in seno al Congresso.

L’obiettivo di Donald Trump ovviamente è puntellare la propria poltrona. Si tratta, quindi, di un vero e proprio referendum sul suo conto, anche se in gioco c’è molto altro. Vediamo cosa: dalla nuova composizione del Congresso dipenderanno alcune scelte chiave per il futuro degli Stati Uniti. A partire dal destino dell’Obamacare. Poi c’è l’inchiesta Russiagate e il possibile impeachment del presidente.

Se i democratici dovessero prendere il sopravvento potrebbero bloccare ogni tentativo di riforma da parte di Trump, rendendolo, come si dice in gergo, un lame duck (anatra zoppa). Sarebbero in grado di bocciare la maggior parte delle misure gradite al presidente, almeno di  una mediazione (difficile da ipotizzare) su singoli temi. Una maggioranza dem potrebbe anche a stringere il cerchio su Trump, intensificando le inchieste nei suoi confronti, a partire dal Russiagate, che come noto intende fare luce sulle presunte interferenze russe nelle elezioni americane del 2016.

La conquista del Senato sarebbe ancora più dura per Trump. È lì, infatti, che si giocano partite decisive come quelle relative alla conferma dei giudici nominati alla Corte Suprema, ma anche dei membri del gabinetto. E con una maggioranza richiesta di due terzi (per l’impeachment) qualcuno potrebbe accarezzare il sogno di provare a mandare a casa Trump per via giudiziaria. Ma se invece vincessero i repubblicani? La strada, in tal caso, sarebbe in discesa per Trump, che avrebbe davanti a sé la possibilità di governare in tutta tranquilltà per i prossimi due anni.

Bisogna osservare che quasi sempre le elezioni di midterm vedono il partito del presidente perdere seggi. Stando a FiveThirtyEight il partito dell’asinello ha una probabilità di prendere il controllo della Camera che oscilla intorno al 76%, mentre al Senato ha molte meno chance: il partito del presidente ha il 66% delle possibilità di tenersi la maggioranza, ad oggi di 51 seggi su 100. Il Grand Old party intende galvanizzare il proprio elettorato sfrurttando un’economia che tira moltissimo e una disoccupazione ai minimi storici. La sinistra, invece, gioca la carta della “resistenza” contro l’amministrazione Trump e le sue politiche divisive. Scommette su giovani, donne e sulle minoranze.

Alle urne molti elettori dovranno esprimersi anche su alcuni referendum: in tre Stati a maggioranza repubblicana si voterà per l’estensione del programma Medicaid (l’assistenza sanitaria gratuita per i più poveri); in Florida si voterà per ridare o meno il diritto al voto agli ex carcerati; in Arkansas e Missouri si decide sull’aumento del salario minimo dei lavoratori; in Michigan sulla legalizzazione della marijuana. Anche questi temi potrebbero condizionare il voto degli elettori, da una parte all’altra, pro o contro Trump.

Il caso Kavanaugh? Arma a doppio taglio

Qualcuno ha ipotizzato che il muro contro muro per la conferma di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema, nonostante le accuse di abusi mosse da una donna nei suoi confronti, possa costare caro a Trump. Ma è davvero così? Secondo un sondaggio Politico/Morning Consult saranno i democratici ad averne maggior beneficio in termini di voti: alla luce del caso Kavanaugh, infatti, si considera molto motivato ad andare a votare il 77% degli elettori democratici, contro il 68% dei repubblicani. A conferma arriva anche la notizia che nelle ore immediatamente successive al voto in favore di Kavanaugh, i candidati democratici sono riusciti a raccogliere milioni di dollari di donazioni, frutto dell’onda di indignazione dei progressisti. Ma attenti alla “maggioranza silenziosa”, che al solito preferisce non esporsi troppo ma poi va a votare. A volte con qualche sorpresa in barba a tutti i sondaggisti.

 

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