Sui rifiuti romani, da qualche giorno, stiamo assistendo ad una messinscena con il solito disonorevole rimpallo di responsabilità tra il presidente della Regione Lazio Zingaretti e il sindaco di Roma Virginia Raggi.
Ma più di qualcuno è convinto che chi governa il territorio laziale stia favorendo, di fatto, una emergenza rifiuti. E che forse la pretenda. Per riaprire discariche, ampliarle e avvantaggiare gli affari dei soliti noti.
Il primo a lanciare l’allarme è stato Francesco Storace, che in un editoriale sul Giornale d’Italia ha scritto di recente “Il fine e’ creare l’emergenza. Perche’ lo prevedono le leggi del business”. “In particolare- continua Storace- e’ ferma alla Regione Lazio la delibera 199, in fase di ‘aggiornamento’ dicono, che serve a favorire i soliti compari di sempre con la riapertura delle discariche ormai esaurite.
Un affare da svariate centinaia di milioni di euro -conclude l’ex Presidente della Regione Lazio- su cui si abbatte il silenzio della politica assieme alla strana inerzia di certa magistratura”.
In questa delibera 199 infatti, sul tema Ciclo integrato dei rifiuti,
troviamo a pagina 4 un passaggio inquietante che offre al governo regionale, “al fine di evitare emergenze” (…) “la possibilità di autorizzare ulteriori limitate volumetrie da utilizzare (…) nei siti già esistenti ed in esercizio per le necessità di circa 3 anni a far data dall’approvazione del presente atto”. Tradotto: sarà possibile, in caso di emergenza rifiuti, ampliare  le discariche già esistenti e in esercizio almeno fino al 2019 (essendo la delibera del 2016).
Il fine di questo degrado dunque, che sta massacrando la reputazione della capitale nel mondo, potrebbe essere quello di creare una emergenza “desiderata” per favorire i soliti amici a margine di un
importante appuntamento elettorale: le prossime elezioni regionali.
Ed è ancora sulla necessità di non perdere il consenso da parte dei territori che il governatore Zingaretti e il sindaco Raggi hanno dolosamente disatteso gli impegni sulla programmazione dei rifiuti.

Il primo non aggiornando il Piano regionale (ancora risalente all’epoca Polverini), e la bella pentastellata non indicando dei luoghi della Capitale dove poter lavorare e scaricare l’immondizia.

Nel frattempo, grazie alle “esitazioni” di una classe politica che preferisce glissare e rimandare, soprattutto sulla costruzione di nuovi impianti, si sceglie la strada più infame: quella dell’export dei rifiuti.

Esportazioni che solo nel 2016, a leggere il Rapporto Ispra, ci sono costate 86 milioni di euro in più all’anno.

E che vedono Roma, come fa notare Manlio Cerroni nel suo blog, capofila in questo turismo su strada dei rifiuti urbani: 170 Tir ogni giorno si muovono infatti verso il Nord, portando in giro quei rifiuti capitolini che non possono essere trattati né valorizzati, né tantomeno smaltiti, perché mancano gli impianti che nessuno vuole costruire.

Risultato? Il conto è salato e fa della capitale la città più vessata d’Italia. Sullo sfondo della pantomima tra Pd e 5 stelle.