Yonnet1Parigi, 1465. Nel vicolo d’Amboise lavora un orologiaio, giunto da Oriente. Vive miseramente, frequenta gli zingari, ma gira voce sia ricchissimo. Le malelingue si diffondono virulente: di sicuro pratica la stregoneria. Tra l’altro, sembra che molti dei suoi clienti ringiovaniscano invece d’invecchiare. Si viene a sapere che gli orologi fabbricati dall’artigiano sono di un tipo particolare: le loro lancette vanno all’indietro. E così quelle biologiche di chi li possiede. I clienti formano una confraternita, cui è ammesso solo chi conosce il terribile segreto. Un giorno vanno tutti insieme da lui: gli chiedono di arrestare il processo. Già, perché va bene non invecchiare, ma ringiovanire continuamente, giungendo alle turbe dell’adolescenza, all’inconsapevolezza dell’infanzia non è altrettanto gradevole. E poi, significa anche conoscere il momento esatto in cui si morirà. Il povero orologiaio è sbigottito: se non avesse tarato in questo modo gli orologi, intima ai suoi clienti, costoro sarebbero morti da tempo. Ma loro non vogliono sentire ragioni. E poi, gli chiedono, com’è che lui non invecchia né ringiovanisce? Semplice: il suo maestro, a Venezia, gli ha donato un orologio che un giorno va avanti e l’altro indietro. Insoddisfatti, progettano una spedizione punitiva notturna, per carpire il segreto della vita eterna. In casa non c’è nessuno: mettono a soqquadro tutto e trovano il mitico orologio. Sfondano il quadrante: tutti i loro orologi si fermano improvvisamente. I cadaveri vengono seppelliti il giorno dopo, fatti oggetto di anatema.

Parigi, anni Quaranta del secolo XX. Lo scrittore e poeta Jacques Yonnet milita nella Resistenza. Ma la sua vita non si esaurisce qui: lo vediamo infatti aggirarsi, armato di penna, matita, carboncino, block notes e album da disegno, tra i bistrot della Rive Gauche, a caccia di aneddoti e leggende, in cerca di quel meraviglioso urbano (Marc Schweizer) che si annida tra i vicoli di Parigi. «Il tempo lavora per chi sa mettersi fuori dal tempo» recita il suo Rue de Maléfices. Storia segreta di Parigi, appena uscito in nuova edizione per EDT. La penna di questo realista magico sonda il ventre di una città, interrogandone i misteri, decifrandone gli arcani, immerso in quella luce serotina che, squarciando i vapori della Senna, trasfigura uomini e cose, facendo di ogni barbuto un profeta, di ogni prostituta l’ancella di un culto il cui nome è andato perduto. Un culto paradossale custodito dalle penombre, chiavi di volta di quell’ordine cosmico di cui Yonnet decide di farsi storiografo.

«In certe zone di Parigi il meraviglioso è moneta corrente»: occorre solo saperlo intravvedere. Ed ecco riemergere un mondo sommerso, popolato di personaggi bizzarri: donne che si trasformano in gatti e uomini che attraverso la Notte sovrana riconquistano la giovinezza dando in pegno la vista, marionette che si liberano dai fili per lanciarsi in sfrenate danze macabre e guarigioni sovrannaturali, un pasticcere che di secondo lavoro fa il barbiere e prepara succulenti manicaretti con ingredienti che nessuno conosce, orologiai che fabbricano dispositivi in grado d’invertire il tempo, un’umanità «dignitosamente affranta» che si trascina per vie e boulevard, muta testimone dei segreti della Ville Lumiére. Figure archetipiche – ammonisce l’autore – che il turista potrebbe incontrare anche oggi, a patto che sappia immergersi in Parigi, dove tutto è contemporaneo, passato, presente e futuro, in un caleidoscopico labirinto il cui filo di Arianna è affidato alla penna di scrittori e poeti.

Yonnet2Per capire questa città, insomma, occorre rinunciare una volta per tutte alla falsa opposizione di reale e fantastico. E, d’altra parte, chi non ha sentito almeno una volta nella sua vita «un certo Richiamo verso l’Altrove, tanto imperioso quanto enigmatico»? Quando nel 1954, per Denoël, uscì Enchantements sur Paris – primo titolo dell’opera – furono in molti a tempestare l’autore di domande sulla veridicità dei fatti. Anche i più insospettabili, «i più refrattari, i più “impegnati” o i più rozzi – scrive Yonnet – hanno ammesso di essersi trovati, magari per una manciata di secondi, nella situazione di chi ha un presentimento, o per meglio dire di chi è “ispirato”, informato da mezzi di comunicazione e conoscenza tutt’altro che normali riguardo alle possibilità di penetrare l’Interdetto, di varcare limiti considerati inaccessibili, di entrare direttamente in un “universo parallelo” che non è affatto l’antitesi del nostro “quotidiano”, ma ne rappresenterebbe il complemento». Tutti si trovano in questa condizione, prima o poi, in quel «delizioso malessere» (l’Avvicinamento, cui Ernst Jünger ha dedicato una delle sue opere più dense) che ci porta a comprendere che il materialismo non è l’unico modo di approcciare il mondo, la vita, la storia.

Tra i lettori di Yonnet – Raymond Queneau, Paul Fort, Jacques Prévert, Claude Seignolle… – figurò anche Louis Pauwels, che, pochi anni dopo, assieme a Jacques Bergier avrebbe scritto quel manifesto del realismo magico che è Il mattino dei maghi, proclamando la vittoria definitiva dell’Altrove. Il 4 agosto 1954, sulle colonne del giornale «Carrefour», Pauwels curò una recensione di Rue des Maleficés intitolata Parigi capitale della magia. Yonnet, definito «poeta, avventuriero dei vicoli notturni, storiografo e forse detentore d’importantissimi segreti», non l’apprezzò molto, a dire il vero. Poco importa: l’Altrove aveva vinto di nuovo.

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