steve-bannon-donald-trumpIl pensatore italiano è un enigma per molti, ma non per Bannon: è il titolo di un articolo del «New York Times» uscito oggi a firma di Jason Horowitz. È certamente curioso che la notizia salti fuori ora, in un periodo che vede la stampa statunitense impegnata in un fuoco incrociato diretto al neoeletto presidente Trump. Non volendo però entrare in questioni politiche, ci limitiamo a parlare di quest’articolo. Indicandone prima i retroscena. Chi è il pensatore italiano “enigmatico”? Julius Evola. E Bannon? Nientemeno che Stephen “Steve” Bannon, creatore del sito di riferimento della cosiddetta alt-right, la destra alternativa statunitense, Breitbart News, nonché organizzatore della campagna elettorale di Trump. Dal 29 gennaio scorso è membro del National Security Council. Ma che c’entra il «guru ideologico di Trump» (com’è giustamente definito nell’articolo) con il filosofo romano?

In una conferenza tenuta nel 2014 in Vaticano, parlando di populismo, capitalismo e immigrazione, in riferimento a Dugin Bannon avrebbe citato… Julius Evola. Un fatto di certo significativo, come ha scritto lo storico inglese Mark Sedgwick, autore di un libro sui tradizionalisti non privo di imprecisioni. Per due ordini di ragioni, aggiungiamo noi: anzitutto considerato che il filosofo romano ebbe sempre una visione meta-politica del tutto incompatibile con quella, per così dire, legata alla «politica politicante»; in secondo luogo, per i suoi arcinoti sprezzanti giudizi sugli Stati Uniti, in cui vide incarnato l’apice della modernità, in tutte le sue contraddizioni (per chi fosse interessato, segnaliamo il volumetto Civiltà americana, uscito per Controcorrente nel 2010 a cura di Alberto Lombardo, che raccoglie tutti i suoi scritti dedicati all’argomento). Un piccolo assaggio: «L’America ha introdotto definitivamente la religione della pratica e del rendimento, ha posto l’interesse al guadagno, alla grande produzione industriale, alla realizzazione meccanica, visibile, quantitativa, al di sopra di ogni altro interesse. Essa ha dato luogo ad una grandiosità senz’anima di natura puramente tecnico-collettiva, priva di ogni sfondo di trascendenza e di ogni luce di interiorità e di vera spiritualità; ha opposto alla concezione, in cui l’uomo è considerato come qualità e personalità in un sistema organico, quella, in cui egli diviene un mero strumento di produzione e di rendimento materiale in un conglomerato sociale conformista» (1930). Un antiamericanismo piuttosto radicale, insomma.

Eppure, ecco che Bannon lo cita. Mentre i blogger della bizzarra costellazione della destra extraparlamentare statunitense gridano al miracolo e analisti e giornalisti invocano «trame nere», assai più ponderato è il giudizio di Gianfranco de Turris, segretario della Fondazione Julius Evola, che, intervistato da Horowitz, osserva: «È la prima volta che il consigliere di un presidente americano conosce Evola, o ha una formazione tradizionale. Ad ogni modo, anche se Bannon ha queste idee, bisogna vedere come e se influenzeranno la politica di Trump». A parte il fatto che questa frase è stata estrapolata da una conversazione di mezz’ora, dai toni molto cordiali, durante la quale sono state esposte riserve, precisazioni e informazioni sui luoghi comuni che circondano Evola, spesso avanzati da chi non lo ha mai letto, cosa significa nel concreto? Che stiamo parlando di una menzione, una citazione da cui non traspare l’idea di trasformare la Casa Bianca in un’Ultima Thule o altro. Eppure, leggiamo nell’articolo: «Sembra che il momento di Evola sia giunto».

Ma chi è Evola? si domanda l’autore. Le risposte, purtroppo, non fanno che ripetere molti di quei luoghi comuni che negli anni si sono cristallizzati attorno alla sua figura, il cui valore è stato tuttavia riconosciuto da accademici, storici e filosofi in buona fede di mezzo mondo. I quali, evidentemente, non considerano tabù parlarne. Ebbene, leggiamo che Evola, «darling» dei fascisti e «Nazi-affiliated» (espressione che denota un concetto molto disinvolto di affiliazione), avrebbe ispirato un movimento terrorista chiamato «Figli del Sole» (vale a dire la fronda interna degli “spiritualisti” del MSI degli anni Cinquanta, e non Sessanta e Settanta, come leggiamo invece sul «New York Times»). Ma, ben prima, i suoi libri sulla razza «influenzarono nel 1938 le leggi razziali che limitavano i diritti degli ebrei in Italia». Ora, a parte il fatto che nel 1938 Evola aveva pubblicato solo Il mito del sangue, un’asettica storia del razzismo contenente tra l’altro giudizi spietati contro quello allora diffuso, di stampo biologista, si ignora come il presunto razzismo di Evola (diciamo presunto perché tale è rispetto all’idea che questa parola evoca oggi) venne totalmente dimenticato dal Regime, che per una lunga serie di ragioni preferì quello “biologico”, appunto, propugnato dai razzisti veri (Preziosi, Interlandi e via dicendo). Quel razzismo che generò appunto le aberrazioni cui si riferisce l’articolo e che Evola sempre criticò, pagando cara la sua opposizione.

Dunque, ricapitolando e per ora tralasciando molte altre imprecisioni e approssimazioni scritte da Horowitz, che dimostrano una documentazione purtroppo affrettata e parziale: Evola è un enigma per molti. Di sicuro non per Bannon, che lo cita, senza però fare delle sue opere dei manifesti elettorali (anche per via della naturale incompatibilità delle teorie evoliane e le sue). Di sicuro non per quegli studiosi che da tempo approfondiscono il suo pensiero in maniera apregiudiziale e scientifica. Si può dire lo stesso per quella classe di giornalisti cui appartiene l’autore di questo articolo? È evidente che esso fa parte della serie di servizi del NYT volti a screditare a tutti i costi la presidenza Trump, stavolta facendo un uso distorto del pensatore italiano. Ad onta di quanti, da decenni, preferiscono adottare un approccio più documentato e, diciamolo, sereno, affrontando le teorie di un pensatore che fu definito da Franco Volpi uno dei filosofi più influenti del Novecento, assieme a Croce e Gentile.

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