Machen_ilPalindromoNell’Anno Domini 2017, in un panorama editoriale intasato da istant book e libri trattati come mortadelle, secondo la spietata e attualissima definizione del vecchio Prezzolini, ha ancora senso lanciare una collana di letteratura fantastica? E se a questa follia aggiungiamo il fatto che questa collana propone edizioni curate, nella traduzione come nella curatela, nelle appendici come nella scelta dei titoli? È l’idea che anima la nuova collana I tre sedili deserti. Ai lettori più accorti non sarà sfuggito il fatto che ci troviamo di fronte a un palindromo. E «il Palindromo» è la casa editrice che l’ha appena lanciata. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Aguanno, direttore di questa nuova avventura, che ha esordito qualche settimana fa con l’edizione dello storico romanzo di Arthur Machen The Hill of Dreams, da decenni assente dalle librerie, riproposto nella magistrale traduzione di Claudio De Nardi (autore anche del densissimo saggio dedicato all’autore gallese inserito in appendice al volume) e con un’introduzione di Gianfranco de Turris. Abbiamo iniziato questa chiacchierata chiedendogli la ragione di tale scelta.

La collina dei sogni è un romanzo che esemplifica in modo chiaro quali sono gli intenti della collana che dirigo. All’estero, specialmente nei Paesi anglofoni, le opere di Arthur Machen sono considerate a tutti gli effetti dei classici della letteratura. In Italia, invece, è quasi sconosciuto – o, forse, sarebbe meglio dire rimosso. I suoi lavori da noi sono stati pubblicati in edizioni spesso frammentarie, a volte poco curate, altre, a fronte di libri ben congeniati, in tirature limitatissime. Machen è insomma il prototipo dell’autore il cui valore è riconosciuto a livello internazionale (anche in contesti estranei al fantastico), ma le cui opere rimangono da noi poco diffuse. Iniziare con uno dei suoi romanzi più importanti è stato naturale.

Da dove nascono I tre sedili deserti?

Sulla rivista «il Palindromo», pubblicata prima online (2011-2013) e poi risorta in forma di libri collettivi (2014-2015), curavo una rubrica dedicata al fantastico letterario e cinematografico. Non era una pubblicazione settoriale, il taglio era molto divulgativo e i contenuti accessibili anche ai “non specialisti”. Quando dalla direzione della rivista (Nicola Leo e Francesco Armato) nacque la casa editrice, proposi un progetto che rispecchiasse l’anima della rubrica: classici del fantastico corredati da apparati critici che potessero inserirli in panorami culturali di ampio respiro.

Perché lanciare oggi una collana di letteratura fantastica?

Perché esiste un pubblico interessato e ne esiste anche uno potenziale. Certo, in Italia ci sono stati grossi problemi a diffondere la letteratura fantastica in modo serio e continuativo, ma non è un buon motivo per privare i lettori delle perle che il genere ha saputo donare alla letteratura internazionale. Bisogna contestualizzare: oggi si vendono meno libri, e chi decide di leggere nel proprio tempo libero opera una scelta ben precisa; le alternative odierne (serie tv, videogiochi, home cinema e via dicendo) sono maggiori rispetto a quelle di ieri. Va da sé che un lettore consapevole pretenda (ne ha il pieno diritto!) un libro curato, che valga l’investimento di tempo richiesto. I libri de I tre sedili deserti vogliono rispondere a questo tipo di necessità: sono volumi destinati a chi ama leggere. Tra le loro pagine il lettore troverà non solo romanzi, ma anche illustrazioni, apparati critici curati da noti esperti, saggi, biografie e bibliografie. Per promuovere il fantastico non bastano copertine sgargianti e nomi altisonanti. Solo un approccio non superficiale potrà avvicinare chi, per influenze culturali o preconcetti, considera “minori” alcuni scrittori e le loro opere.

Quali i nuovi progetti?

Attualmente stiamo lavorando su vari volumi. Posso dirti che siamo affiancati da un bel gruppo di collaboratori e studiosi del fantastico, il cui contributo si è già dimostrato fondamentale. Entro la fine dell’anno uscirà il secondo volume, il romanzo di un autore americano che manca dagli scaffali delle librerie da diverse decine di anni. Abbiamo già programmato altre uscite, ma al momento non posso sbilanciarmi. Diciamo che, accanto alle riedizioni di classici già tradotti ma introvabili, ci sarà posto per romanzi inediti in Italia, di valore acclarato.

Secondo Borges, «tutta la letteratura è fantastica»… Qual è la tua visione di questo genere?

Mi sono sempre trovato d’accordo con l’opinione di Borges. Per definire la narrativa, a prescindere dal genere di appartenenza, gli anglofoni usano la parola fiction, ovvero finzione. Per quanto generico, il termine chiarisce che in una narrazione, sia essa mimetica (aderente al reale) o fantastica, i mondi in cui si svolgono gli eventi sono sempre “altro” dalla realtà ordinaria.

Eppure, l’ansia di catalogare persiste, e continua a dividere generi e sottogeneri…

Le categorizzazioni sono molto utili, ma soltanto se usate con saggezza, e non per creare gerarchie. La differenza tra cultura “bassa” e “alta”, ad esempio, oggi dovrebbe essere superata, ma spesso ciò non accade. Il problema non è dato soltanto dalla differenza in sé, ma anche dai presupposti adottati da chi delinea i canoni del discrimine. In Italia, testi importanti dal valore indiscusso, vergati dalla penna di Lovecraft, di Machen o – per citare un nome oggi popolarissimo – di Tolkien, sono rimasti per decenni al margine, banditi dalla critica paludata allineata a un modo limitante di concepire la cultura. Questo atteggiamento di rifiuto ha poi generato querelle di vario genere che hanno fatto dimenticare quella che dovrebbe essere la missione principale degli addetti ai lavori: la divulgazione della cultura, di quegli autori poco diffusi nel nostro Paese, in altre parole il “fare libri”, ognuno – certo – a proprio modo, secondo una prospettiva personale, col proprio metodo, ma sempre con serietà e professionalità.

A tuo giudizio, quale messaggio può veicolare oggi quella che siamo soliti definire “letteratura fantastica”?

Molta letteratura fantastica si ricollega – e in modo neanche tanto velato – al vasto corpus mitico occidentale, e non solo. Non so se si possa parlare di messaggio, ma se pensiamo al racconto mitico come esperienza interiore, allora lo è anche la lettura, questa esperienza intima e individuale. Diversi anni fa, Gianfranco de Turris avanzò l’ipotesi che il fantastico, nelle sue varie declinazioni, potesse assumere il valore e la funzione rivestite dal mito per molti popoli antichi. È una considerazione suggestiva, che mi trova d’accordo sotto molti aspetti e giustifica, insieme ad altre teorie, l’approccio “scientifico” verso la narrativa di genere, considerata fino a ieri letteratura “di serie b”, nonostante i picchi lirici e stilistici innegabili raggiunti da numerosi autori. Ed è con questa consapevolezza che I tre sedili deserti intende presentare ai lettori i suoi libri.

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