junger_2839466bI frammenti che seguono sono tratti dal quinto volume dei monumentali diari che Ernst Jünger tenne tra il 1965 e il 1996, pubblicati in tedesco da Klett come Siebzig Verweht (Passati i settanta) e purtroppo tuttora inediti in italiano. Sono di un’importanza capitale per comprendere l’evoluzione del pensiero dell’Autore nel secondo dopoguerra, contenendo non solo la rassegna delle sue giornate e dei suoi numerosissimi viaggi, ma anche estratti del suo carteggio e testi di conferenze, interviste, relazioni e via dicendo. Le pagine qui tradotte (che fanno seguito agli estratti del primo volume, già proposti su questo blog) provengono dal quinto tomo, le cui annotazioni spaziano tra il 1991 e il 1996, pochi anni dalla sua morte. Piccole perle dal retrogusto aforistico, che vanno dai diari parigini di Pierre Drieu La Rochelle a riflessioni su Oltre la linea, scritto con Martin Heidegger, sino a profonde ricognizioni sul rapporto tra arte e sacro e considerazioni sulla sua opera più importante, Il lavoratore, riletto a distanza di sei decenni. A emergere è quell’incredibile lucidità che lo scrittore di Wilflingen mantenne sino alla fine dei suoi giorni (si spense nel 1998, a centotré anni), non mancando di occuparsi di tematiche di attualità, insieme a quei temi che, dopo aver fatto capolino nelle sue opere, ne orientarono l’equazione personale, aprendo squarci d’assoluto sulla carriera di uno dei grandi Inattuali del Novecento.

A. S.

 

Wilflingen, 10 novembre 1991

Essere o non essere? E perché non entrambe le cose? Il nostro mondo di apparenze viene percepito come attraverso uno specchio. E questo specchio è il muro del tempo(1).

 

Magadino, 23 agosto 1992

Leggo il diario tenuto da Drieu La Rochelle tra il 1939 e il 1945, soprattutto a Parigi. L’ha curato e annotato Julien Hervier(2). È uscito per Gallimard – una delle ragioni per cui l’editore l’ha affidato a Hervier è la sua tesi «su Jünger e Drieu»(3), di cui ignoravo l’esistenza. Il confronto nasce naturalmente: in quegli stessi anni, e sempre a Parigi, tenevo anch’io un diario, pubblicato nel secondo dopoguerra con il titolo di Irradiazioni(4).

Nei diari di Drieu trovo anzitutto una spietata autocritica, ancor più radicale di quella di Rousseau, e un cosciente approccio alla trascendenza, una preparazione meditativa al suicidio, che ha compiuto, dopo qualche tentativo finito male. In quasi tutte le pagine m’imbatto nei nomi di miei conoscenti – in quegli anni frequentavamo gli stessi ambienti.

A mio giudizio, l’antisemitismo di Drieu – che oggi gli si rimprovera, a giusto titolo e con particolare severità – deriva dalle controversie legate all’affare Dreyfus. Allora se ne parlava ovunque, anche a tavola. Ciò non gli impedì di sposare un’ebrea, di cui sperperò il denaro durante il loro breve matrimonio.

È più facile definire che precisare la posizione politica di Drieu. Le grandi correnti dell’epoca devono averlo influenzato in maniera forte ma generale. Ha certamente avuto un ruolo nella storia del fascismo, la cui catastrofe fu anche la sua. Decise di non sopravvivergli – anche se avrebbe potuto farlo, con l’aiuto di Malraux e di qualche amico(5) – e scelse il suicidio. Agli inizi, Drieu è entusiasta di Hitler; nel corso della guerra, tuttavia, i suoi apprezzamenti subiscono un’evoluzione sotto l’ascendente radicale di Friedrich Nietzsche. Giudica fondamentale «raggiungere il fondo della decadenza»: un ritorno alla Terra, forse? Lo stesso Nietzsche, d’altronde, diceva di essersi lasciato il nichilismo alle spalle.

Drieu ripone le proprie speranze nei popoli nordici, ma è Stalin a diventare la figura dominante quando s’annuncia il grande rovesciamento. Ai suoi occhi, la volontà di potenza e la vittoria divengono decisive. Se ciò ha un retrogusto nietzschiano, in realtà si riallaccia a Charles Darwin, campione di «mediocrità inglese» che vendeva verità da quattro soldi. È in questo contesto che m’imbatto in una riflessione che ha ossessionato e afflitto anche le mie notti: «Il crimine contro l’Europa è il duello anglo-tedesco. […] La lotta fratricida dei due popoli, nordici e germanici, finirà per beneficiare gli slavi. […] Hitler è tanto colpevole quanto Churchill».

Un ritorno a Guglielmo II e al funesto carcinoma di Federico II. L’odio di Guglielmo per suo zio è un dramma shakespeariano in stile art nouveau. Che la politica degli armamenti navali fosse un fallimento, moltissimi l’avevano previsto. Lo spettacolo di Skagerrak, che avrebbe divertito gli Einherjar(6), inflisse ai contendenti ferite che non si sarebbero mai rimarginate.

Da Dreyfus a Stalingrado, Drieu riapre le ferite del nostro secolo, lasciandole aperte, in parte per via di un carattere instabile: il suo suicidio era programmato. Gli aveva consacrato un capitolo: già da piccolo accarezzava l’idea di togliersi la vita.

 

Wilflingen, 16 settembre 1992

La Rivoluzione della Terra è un avvenimento titanico che mobilita la natura inanimata, così come quella organica. Anche l’uomo ne è toccato: non solo sul piano storico, ma anche nella sua esistenza zoologica. Egli dispone di un ruolo peculiare, avendo tra le mani il fulcro della rivoluzione terrestre: la scienza naturale, rivolta dapprima contro i culti (La Mettrie, Voltaire, Darwin), poi contro la società (Marx, Lenin), e infine contro l’uomo stesso (tecnica atomica e genetica). Quando è cominciata la lotta tra Dèi e Titani, non vi era né storia umana (Weltgeschichte) né storia naturale (Erdegeschichte) – essa risale addirittura a prima della creazione (che, in realtà, ha reso possibile). Ma si ripete nel corso del tempo. Lo spettacolo che ci viene offerto oggi è una lotta disperata contro il trionfo della scienza naturale, vittoria che questa prepara più o meno segretamente nei laboratori e che verserà nuovo vino nei vecchi otri. Al superamento della guerra classica seguirà quello della morale classica.

 

Wilflingen, 1 gennaio 1993

Caro Jacolliot,

Mi chiede qualche riga che possa servire da prefazione al mio saggio Oltre la linea, la cui traduzione apparve per Christian Bourgois e che ora vorrebbe ripubblicare(7). Per esaudire in misura almeno modesta il suo desiderio, mi sono riciclato in informatore di me stesso e ho riletto il testo del 1950, così come le notizie bibliografiche che lo riguardano. Da allora sono passati quattro decenni. Quarant’anni molto fecondi, in termini di avvenimenti.

1. Più che una rilettura, è stata una riscoperta del tempo perduto. Mi ero scordato di quel saggio; lo riducevo a un omaggio, a una costrizione cui, tra scrittori, ci si sottomette più o meno per dovere – in quel caso, per omaggiare il sessantesimo compleanno di Martin Heidegger. Mi ci sono applicato particolarmente perché in quel periodo iniziavano a fiorire gli attacchi al filosofo. Allora non sapevo come lui avesse tenuto, prima della guerra, un seminario sul mio libro Il lavoratore (8). Comunque siano andate le cose, sono rimasto sorpreso dall’ampiezza di Oltre la linea, se comparato alla sua motivazione effimera – il soggetto di quel saggio, insomma, doveva in qualche modo essere radicato nelle mie idee.

2. È possibile riassumere queste idee in poche parole? Era forse il tentativo di tornare a calcare la terra dopo essere stato per due volte vittima di un terremoto. Ma l’originalità del tentativo risiedeva nella sua natura ottimista.

Non che, in ultima istanza, io manchi di ottimismo. Una delle mie massime recita: «Ciò che non mi uccide mi fortifica – ma ciò che mi uccide mi rende ancora più forte». Penso a una formula annotata dopo una serata trascorsa con Heisenberg, lo scultore Hans Wimmer e mio fratello Friedrich Georg: X∞ (dove X è un essere qualunque, un’ameba, un embrione, un panettiere o Leonardo Da Vinci, al di là del muro del tempo: ).

In fin dei conti, nulla può “andare storto”. Il tempo è un piano inclinato. La sfera ruota su di esso in maniera arbitraria, oltre l’ultima ratio. La testa del serpente è un simbolo sul cammino. La speranza conduce più lontano della paura.

3. Non che mancassero ragioni per essere pessimisti – considerati, soprattutto, i nuovi conflitti che si profilavano all’orizzonte. La comparsa di Oltre la linea fu accompagnata da polemiche – Gerhard Nebel, ad esempio, considerava il mio un ottimismo personale non generalizzabile. Se inizialmente accettai questa obiezione, devo però aggiungere che, per quanto mi riguarda, l’analisi della situazione si è rivelata feconda. Nel catalogo delle mie opere, che devo alla mia compagna, la mia cara archivista personale(9), dopo Oltre la linea m’imbatto ne Il trattato del ribelle e Il nodo di Gordio. Il primo parla del comportamento dell’individuo sotto le dittature, il secondo dei confronti storici tra Oriente e Occidente(10).

4. 1959: Al muro del tempo. Non ci troviamo solo alla fine di un mondo, ma anche all’inizio di una rivoluzione terrestre, nel senso della teoria delle catastrofi di Cuvier. I mezzi della fisica, della politica e della morale classica si rivelano insufficienti: è necessario fare i conti con ciò che vuole la Terra.

5. Allora non avevo approfondito Hölderlin, né potevo conoscere l’eccellente edizione delle opere complete di Nietzsche, in particolare dei frammenti postumi, curata dai due italiani, Colli e Montinari, che sarebbe apparsa nel 1967(11). Entrambi hanno ricoperto un ruolo importante nella stesura de La forbice, di cui Julien Hervier sta per concludere la traduzione(12).

6. La forbice prosegue in forma aforistica la linea Hölderlin-Schopenhauer-Nietzsche. È essenzialmente orientata verso il prossimo secolo che, con il trionfo del titanismo, serberà sorprese inaspettate. La dominazione dei Titani, «allevati in culle di bronzo», terrorizzava Hölderlin, giacché ostile ai poeti; considerata con pessimismo da Schopenhauer, era salutata con entusiasmo da Nietzsche, che vedeva nel XXI secolo la propria patria spirituale.

Ma Hölderlin giunge a un secolo successivo rispetto a Nietzsche. Considera necessario il «tempo dell’indigenza», poiché «è raro che l’uomo sopporti la pienezza degli dèi». Ma sa che questi torneranno, «al momento opportuno». Nel frattempo, il poeta si consola col sonno, grazie al sogno e al vino. Per Hölderlin, Dioniso acquisisce potenza nell’interregno, mentre per Nietzsche è assoluto, in quanto signore della festa(13). Per Nietzsche lo scopo supremo dell’arte viene raggiunto quando Apollo parla la lingua di Dioniso (La nascita della tragedia).

7. Ovunque regna l’idea che i Titani non possano arrecare che dolore, ma lo stesso Hölderlin non è di questo avviso. Prometeo è messaggero degli dèi e amico degli uomini. E, secondo Esiodo, l’età dei Titani è l’età dell’oro. Il passaggio dall’età del ferro all’età delle irradiazioni si verifica anzitutto nelle scienze della natura. La potenza delle loro formule si rivela nella tecnica e nei suoi dispositivi. Tale diffusione si accompagna a quella spiritualizzazione che gli astrologi attribuiscono all’Età dell’Acquario.

Cresce la sete di energia; la tecnica nucleare e la genetica modelleranno la società in un modo che nemmeno Huxley avrebbe potuto prevedere. Anche le utopie di Jules Verne sulle macchine sono state superate dai fatti. Una fantasia del dottor Ox(14), invece, evoca una trasformazione spirituale che ricorda il regno delle droghe.

La vera questione non risiede nel mettere le redini al mondo nuovo ma nel conoscerne la formazione. Esso genera intuizioni di natura culturale, per esempio sul dualismo della luce – comparabili sul piano filosofico alle monadi di Leibnitz, e su quello teologico alla transustanziazione. È questo lo stile prometeico.

8. Impossibile confidare ancora negli auguri e nei loro vaticini. «Testa o croce?» Il risultato dipende da come cade la moneta – e ora è legato a ciò che chiede la Terra e alla profondità del nostro sguardo sulla materia.

All’alba del XX secolo, le speranze erano radiose, ma sono state tradite. Il mondo è caduto nell’ombra, mentre il flusso di energia aumenta senza sosta, in modo perturbante. Forse Febo riapparirà dopo la dispersione delle nuvole. Ma ora i nostri compiti sono planetari – nonché, probabilmente, troppo vasti per una sola generazione.

9. Ma torniamo alla linea. Devo fare autocritica e notare che non è un testo facile alla lettura. In molti punti brillano massime, versi rilucenti di un bagliore pronto a venirci in soccorso. Mi stupisco che abbia conosciuto una lunga serie di riedizioni e lo si legga ancora. Mi accadono esperienze analoghe con La forbice. Una lettrice mi scrive che la sua vecchia madre, una donna semplice, ha trovato nel libro un’ultima consolazione alla sua agonia. Lo sento dire a proposito di molti miei scritti, per esempio Stazione di dogana(15) – dovrei ritenermi soddisfatto.

10. Malgrado tutto, a distanza di cinquant’anni, la fiducia nel prossimo secolo mi sembra fondata, anche se la prospettiva è mutata. Il serpente, simbolo della conoscenza, ha conquistato la Terra e la questione che ora si pone è sapere se si nasconda anche dietro alla scienza. È il carattere titanico – se ciò avvenga a vantaggio o svantaggio dell’uomo, è ovviamente un’altra faccenda.

 

Wilflingen, primi di giugno 1993

Intervista rilasciata in occasione della quarantacinquesima Biennale di Venezia.

Cosa l’ha spinta a partecipare alla Biennale?

L’amichevole invito del curatore, Achille Bonito Oliva. Mi ha chiesto un’introduzione per il catalogo. In quel testo ho spiegato come immagino l’evoluzione dei prossimi due secoli. Insomma, più che un partecipante in senso vero e proprio sono un ospite e un osservatore. E ciò mi riempie di curiosità.

È d’accordo con il tema proposto da Oliva, la dimensione planetaria dell’arte e l’interdisciplinarietà dei linguaggi estetici?

Concordo assolutamente. È un principio valido non solo per quest’epoca, ma per tutta la nostra civiltà. Uno stile non prende forma solamente in generi artistici isolati, ma si estende a tutti i campi della nostra vita. La novità è costituita dal fatto che oggi siamo parte in causa dell’evoluzione verso lo Stato mondiale(16).

Non vede una minaccia nella confusione babelica delle lingue, che le rende piatte e indifferenziate?

In effetti, ci troviamo di fronte a un pericolo reale. Le masse diventano sempre più potenti, ma sono sicuro che vi saranno élites capaci di donar loro nuove forme.

Una sezione della Biennale è dedicata al legame tra arte occidentale e arte orientale. Qual è, secondo lei, il senso di questo rapporto?

Rendo pienamente omaggio all’iniziativa. Non si tratta di uno scambio nuovo ma del rinnovamento di legami molto antichi. È da più di un secolo che la letteratura russa, ad esempio, esercita una grande influenza sull’Occidente. Citerò solamente Gogol, Dostoevskij e Tolstoj. Lo Stato mondiale non arresterà questa fecondazione reciproca; anzi, sarà quest’ultima a renderlo possibile.

Che ne è dell’arte nel nostro secolo «tecnico»? Il fatto che la tecnica abbia investito il dominio dell’arte costituisce un pericolo?

All’era dei Titani, che chiamava «esseri di ferro», Hölderlin aveva messo in conto una riduzione delle arti – della poesia, soprattutto. L’armamentario dei Titani è di natura eminentemente tecnica. Ma Hölderlin confidava anche nel ritorno degli dèi.

Se l’arte si svincola da Dio, cosa resta? È forse questa la ragione per cui, di fronte a un’opera, oggi si insiste sulla sua dimensione materiale?

Nell’isolamento l’artista è perduto – egli ha bisogno della cultura. Ecco perché sono in aumento i suicidi tra gli uomini di genio. Ma senza dèi non c’è cultura. Siamo ancora dilaniati dall’opposizione Apollo-Dioniso: tra i due, il Titano è ovviamente Dioniso. Il dilagante dramma delle droghe assume in questo contesto una funzione d’avanguardia(17).

C’è una differenza essenziale tra l’arte della prima metà del XX secolo e quella successiva. Oggi nessuno crede più all’avanguardia. I temi più frequenti sono l’individuo, la distruzione e la Terra. I tempi sono maturi per la nascita del ribelle? Quale opera, artista o movimento, della nostra epoca o del passato, si avvicina maggiormente alla sua idea di ribelle?

L’Anarca è autarchico(18). Né anarchico, né nichilista, è indipendente dalla società, della quale tuttavia osserva i costumi e i riti, affinché lo si lasci in pace. Se fa il panettiere, ad esempio, sfornerà buon pane, dopodiché gioirà del proprio tempo libero. Se per caso è un genio, non seguirà alcun orientamento stilistico ma fonderà da sé il proprio stile. In questo senso, Goethe era a un tempo ministro e Anarca.

Perché gli artisti, i poeti, sono la nostra ancora di salvataggio? La ragione risiede forse nel carattere magico, epifanico, profetico dell’arte?

L’arte può esibire tratti magici, come ad esempio nel surrealismo, ma non è necessario – vi è una sola necessità: la trascendenza. Essa si esprime in qualsiasi opera d’arte che meriti questo nome. Ecco perché non penso a nessun artista in particolare.

C’è un legame tra i suoi scritti e l’arte tedesca del Novecento? Quale, tra i movimenti artistici di questo secolo, inclusi i contemporanei, la interessa?

Frequento regolarmente musei e mostre, sono stato amico di Kubin, Nay, Schlichter e altri. A Parigi, andavo a trovare Braque e Picasso, e ho tenuto una corrispondenza con Magritte. Non è mai venuto a trovarmi, ma ha dipinto il tiglio di fronte a casa mia.

Che importanza riveste l’imponente esposizione della Biennale dedicata a Francis Bacon? Con la sua pittura, Bacon attinge a quel fondo originario di cui parla il suo Trattato del ribelle. Se non lui, chi altri potrebbe esserlo?

Malauguratamente mi sono interessato poco a Francis Bacon. Colmerò certamente questa lacuna. Non ho ancora visto la retrospettiva di cui mi parla, ma dalle opere di Bacon che conosco fuoriescono tratti d’anarchia. La predilezione del colore blu e la prossimità della morte in molti suoi soggetti si muovono proprio in direzione della trascendenza. Il suo Studio dal ritratto di Innocenzo X contiene tratti tanto retrospettivi quanto profetici: e, in mezzo, il presente terrificante.

 

Wilflingen, 18 giugno 1994

L’opera Il lavoratore. Dominio e forma apparve nell’autunno del 1932, poco prima dell’avvento del Terzo Reich, ragion per cui è stata spesso accusata di aver «aperto la strada al nazionalsocialismo».

È curioso che si attribuisca una tale forza esplosiva a un libro il cui valore, a distanza di oltre sessant’anni, non è stato ancora riconosciuto; un libro passato inosservato o accolto con ostilità da partiti e gruppi. Il che risulta comprensibile se si considerano tesi come queste: «Nazionalismo e socialismo sono principi del XIX secolo. Le istituzioni della democrazia nazionale conducono all’anarchia mondiale proprio quando acquisiscono universalità. Allo stesso modo, il socialismo è incapace di realizzare istituzioni valide. Questi principi sono alla base del loro stesso fallimento, poiché qualsiasi altra potenza è in grado di utilizzare le loro regole del gioco».

Jünger-SchmittOra, indipendentemente dal fatto che Il lavoratore è stato più criticato che letto, tesi di questo genere non rientrano nel quadro del nazionalsocialismo, né della democrazia di Weimar. Così come andarono incontro all’incomprensione di menti i cui giudizi godevano della mia stima. Tanto Carl Schmitt quanto Oswald Spengler stigmatizzarono la figura dell’Operaio, nella quale videro un «elogio del proletario». Era un fraintendimento dovuto all’utilizzo di criteri propri al pensiero marxista. Marx ha usurpato il concetto di lavoro a beneficio di una sola classe. In quanto Forma, invece, il Lavoratore non rappresenta una classe economica o una razza biologica, ma costituisce un tipo incarnato dalla selezione planetaria. Il suo regno è la Terra, e la tecnica è la sua lingua universale. Questa Figura penetra e distrugge le antiche categorie sociali, cioè sacerdoti, guerrieri e contadini. Fui sorpreso da una lettera di Spengler, in cui vide un’opposizione tra il contadino e il Lavoratore(19). Al pensatore che vedeva rinascere il cesarismo era sfuggita la somiglianza delle imprese collettive con gli antichi latifondi. Nell’età borghese il termine lavoratore ha assunto un valore stigmatizzante, che nemmeno un geniale storico come lui è riuscito a evitare. Martin Heidegger è stato l’unico ad aver mostrato sin da subito interesse per l’opera. Ne ha anche tenuto un seminario: non ne so nient’altro, però. Non dimenticherò mai una conversazione con Leopold Ziegler a Überlingen; l’assenso del filosofo («il cambiamento della figura degli dèi») raggiunse il cuore del problema.

La ricezione del libro presso piccole cerchie di lettori, vecchi o giovani, fu spontanea. All’inizio si limitò a dibattiti o lettere – per esempio, dei miei fratelli Hans e Friedrich Georg, Hugo Fischer, Gerhard Nebel, Friedrich Hielscher, Paul Weinreich e Benno Ziegler della Hanseatische Verlagsansalt. Il Lavoratore trovò un avvocato difensore assai eloquente nella persona di Ernst Niekisch, sulle colonne della rivista «Widerstand»(20). Nell’insieme, gli echi rimasero confusi, nonostante ne fosse stata approntata poco tempo dopo una seconda edizione.

Tra i libri dedicati alla questione si può citare Il Lavoratore di Marcel Decombis (Parigi, 1943)(21) e un’opera fondamentale di Erich Brock, a cui l’opera, come ha riconosciuto egli stesso, ha aperto gli occhi. Pubblicato a Basilea poco dopo Stalingrado, venne presentato dall’editore come «il definitivo smascheramento di un fascista»(22). A fluttuare sono anche le opinioni.

Ma habent sua fata libelli – anche questo ho imparato dai miei amici. Heinrich von Stülpnagel, che considerava il libro come nazional-bolscevico, prima di partire in missione sul fronte dell’Est mi disse che avrei dovuto arrendermi, per diverse ragioni: avrei appreso come stavano le cose.

Nemmeno oggi, come dicevo, il giudizio si fa più preciso. Lo stesso vale per me. Più che un piano vero e proprio, all’epoca avevo seguito un’intuizione. Come conciliare la minaccia di una catastrofe apocalittica e un progresso che, nel dominio della tecnica e delle scienze naturali, oltrepassava ogni utopia? «C’è del metodo in questa follia» – dev’esserci dietro una forza ordinatrice. È qui che si offre al pensiero la variante neoplatonica.

 

Wilflingen, 18 giugno 1994

A proposito di Al muro del tempo. Conseguenze: Pesci – Acquario // Figlio – Spirito Santo // Età del Ferro – Età delle Radiazioni // Nuovo Testamento – Terzo Testamento (inizio attraverso un’Apocalisse) // Mercurio – Urano // Stati-nazione – Stato universale // Démos – Caos // Caos – Ordine // Titani – Dèi // Prometeo – Zeus // Ciclopi – Ulisse // Eterno – Atemporale.

 

Note

  1. Riferimento all’omonima opera jüngeriana, An der Zeitmauer, del 1959 (ultima ed. it.: Al muro del tempo, Adelphi, Milano 2000).
  2. Tr. it.: Pierre Drieu La Rochelle, Diario (1939-1945), il Mulino, Bologna 1995.
  3. Julien Hervier discusse la sua tesi nel 1973, che fu pubblicata da Klincksieck nel 1978, con il titolo Drieu la Rochelle, Ernst Jünger, deux individus contre l’Histoire.
  4. Ed. it.: Ernst Jünger, Irradiazioni, a cura di Henry Furst, Guanda, Parma 1993.
  5. Sul rapporto tra i due cfr. Maurizio Serra, Fratelli separati. Drieu Aragon Malraux, Settecolori, Lamezia Terme 2007.
  6. Nella mitologia norrena, gli Einherjar sono i soldati morti valorosamente sul campo di battaglia, che le Valchirie di Odino portano nel Walhalla, dove rimarranno fino al Ragnarok, prima di combattere l’ultima battaglia.
  7. Ed. it.: Ernst Jünger, Martin Heidegger, Oltre la linea, tr. di Franco Volpi, Adelphi, Milano 1989.
  8. Der Arbeiter uscì nel 1932 (ed. it.: L’operaio, tr. di Quirino Principe, Guanda, Parma 2004). I seminari di Martin Heidegger dedicati al capolavoro jüngeriano sono ora raccolti nel suo Ernst Jünger, a cura di Marcello Barison, Bompiani, Milano 2013.
  9. Liselotte Bäuerle (1917-2010), compagna dello scrittore sino alla fine dei suoi giorni, era archivista.
  10. Il trattato del ribelle uscì nel 1951 (tr. it.: Adelphi, Milano 1990), mentre il secondo libro, contenente un saggio di Jünger e uno di Carl Schmitt, fu pubblicato due anni dopo (ed. it.: Il nodo di Gordio. Dialogo su Oriente e Occidente nella storia del mondo, il Mulino, Bologna 2004).
  11. Le opere nietzschiane curate da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, il cui valore ha avuto nel corso degli anni un riconoscimento internazionale, sono pubblicate in italiano per i tipi di Adelphi.
  12. Ed. it.: Ernst Jünger, La forbice, tr. di Alessandra Iadicicco, Guanda, Parma 1996.
  13. Su questi aspetti cfr. Karoly Kerényi, Dioniso, Adelphi, Milano 1991; Walter F. Otto, Dioniso, il Melangolo, Genova 1997.
  14. Ultima ed. it.: Passigli, Antella 2005.
  15. Si tratta di un saggio contenuto in Das Abenteuerliche Herz, del 1929 (ed. it.: Il cuore avventuroso, tr. di Quirino Principe, Guanda, Parma 20001).
  16. Jünger aveva già trattato l’argomento ne Lo Stato mondiale, del 1960 (ultima ed. it.: Guanda, Parma 1998). Nel Weltstaat lo scrittore vede la missione ultima dell’Operaio, il cui raggio d’azione è planetario.
  17. All’uso “metafisico” e “sacro” degli stupefacenti Jünger aveva dedicato Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza, del 1970 (ed. it.: Guanda, Parma 2006), e ne aveva dialogato nel corso degli anni con Albert Hoffman, inventore dello LSD, immortalato nello Schwarzenberg di Visita a Godenholm (ed. it.: Adelphi, Milano 2008).
  18. Il riferimento è ovviamente al romanzo Eumeswil, del 1977 (ed. it.: Guanda, Parma 2001), in cui si tematizza la figura dell’Anarca, nella quale molti hanno visto l’evoluzione del Ribelle.
  19. Ad un corrispondente italiano che in quegli stessi anni chiese a Jünger delucidazioni sul suo rapporto con Oswald Spengler, così questi rispose: alla lettura de Il tramonto dell’Occidente, di cui fu estimatore, «seguì una lettera all’autore, al quale spedii anche i miei diari di guerra: ne scaturì un invito a Monaco. All’epoca ero molto occupato: il non aver fatto seguito a quell’invito è un fatto che rimpiango ancora oggi. Nell’autunno del 1932 si venne ancora a un breve scambio epistolare, a proposito del mio libro L’operaio. Spengler ha inteso il termine nel senso del XIX secolo, dunque della lotta di classe; per questo, come anche a Carl Schmitt, già il semplice titolo gli apparve sospetto. Entrambi ritennero che lo scopo del libro stesse in una lode del proletario in senso marxista; per me si tratta invece di un ritorno neoplatonico alla sostanza prometeica. Questo mi diventa solo oggi alquanto chiaro» (cit. in Domenico Conte, Jünger, Spengler e la storia, in Aa. Vv., Ernst Jünger e il pensiero del nichilismo, a cura di Luisa Bonesio, Herrenhaus, Milano 2002, p. 153).
  20. Il saggio di Ernst Niekisch uscì sulla rivista «Widerstand» nel 1932 (tr. it.: A proposito de «L’Operaio» di Ernst Jünger, in «Trasgressioni», a. VII, n. 1, pp. 124-128).
  21. Tr. it.: Marcel Decombis, Ernst Jünger, l’ideale nuovo e la mobilitazione totale, Edizioni del Tridente, La Spezia 1981.
  22. Das Weltbild Ernst Jüngers (L’immagine del mondo di Ernst Jünger) di Erich Brock uscì in Svizzera nel 1945.
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