23119890_1705004496239212_3614027408624902787_oSono passati svariati decenni dalla scomparsa di Howard Phillips Lovecraft e Jorge Luis Borges, ma i loro nomi continuano a brillare nel firmamento del Canone Occidentale. Questi due realisti magici scelsero di farsi acuti interpreti del XX secolo, in tutte le sue maschere, in tutte le sue luci e ombre, provando ad abbracciare con uno sguardo letterario e meta-letterario il destino di una civiltà, come solo i grandi sanno fare. Optando ovviamente per registri narrativi ben diversi tra loro, Lovecraft e Borges furono tuttavia accomunati da un solo grandioso compito: l’elaborazione di uno stile che sapesse andare al di là del presente, che spalancasse il nostro qui e ora alle influenze del passato e del futuro, di ciò che è in alto e di ciò che è in basso. Tutto in loro è apertura: se il bibliotecario di Buenos Aires tentò un’ultima sintesi mitografica, cercando il minimo comun denominatore tra Oriente e Occidente, il Solitario (che poi tanto solitario non era…) di Providence aprì il destino dell’uomo a quello delle stelle, realizzando una profonda Rivoluzione copernicana della letteratura fantastica, di cui fu uno dei capisaldi, come ormai ampiamente riconosciuto.

Ad accomunarli entrambi è il rifiuto della falsa opposizione tra realismo e fantastico. Il fantastico non si trova esiliato in un qualche mondo lontano dal nostro, ma va estratto dalle viscere della materia, va cercato nel cuore della modernità stessa. Ecco perché Lovecraft s’interessò allo stesso tempo di mito e scienza, nell’impossibilità di scegliere tra i due campi. La stessa ragione che portò Borges ad affermare come il fondo di ogni tipo di letteratura è fantastico, persino di quella realistica, che vorrebbe replicare esattamente il reale. Perché scegliere tra realismo e magia, insomma? Meglio provare a coniugarli, ci insegnano entrambi – potremmo addirittura rischiare di imparare qualcosa di più sul nostro conto.

23117016_1708335849239410_6547367897924523217_oMa i nostri due autori erano anche portentosi sognatori, che attraverso lo specchio della dimensione onirica viaggiarono attraverso universi ed epoche, sorvolando oceani e continenti. Se Borges affermò in più occasioni che la storia va studiata come se fosse un lungo sogno – ed è probabile che non vi sia nessuno a sognarla! – Lovecraft, come noto, fin da piccolo incontrò nelle proprie incursioni notturne quegli esseri senza nome che avrebbe successivamente inserito nelle sue terrificanti storie. Per entrambi, insomma – così come per molti altri, da Calderón de la Barca a Lewis Carroll –, il sogno è vita e la vita è sogno, infinito caleidoscopio d’immagini e uomini, storie e culture, popoli e divinità. Facendo leva sugli archetipi dell’Inconscio Collettivo, partendo dalla narrativa il bibliotecario di Buenos Aires e il Maestro di Providence hanno finito per materializzare i sogni, gli incubi e le fantasticherie di una civiltà intera.

Di questo e altro si parlerà sabato 18 novembre alle ore 17 alla Civica Scuola Interpreti e Traduttori Altiero Spinelli (via Francesco Carchidio, 2 – Milano), nel corso della presentazione di due novità: il nuovo numero della rivista «Antarès – prospettive antimoderne», tutto dedicato al Bibliotecario di Buenos Aires, scaricabile in forma gratuita qui, e Oniricon. Sogni, incubi & fantasticherie, la prima edizione mondiale di tutti i sogni del Demiurgo di Providence, a cura di Pietro Guarriello. Interverranno Andrea Scarabelli (Edizioni Bietti), Veronica Ronchi (Università degli Studi di Milano) e Gianfranco de Turris, tra i maggiori esperti di Lovecraft in Italia.

Un viaggio ideale tra Providence e Buenos Aires, tra il Vecchio e il Nuovo Mondo, tra scienza e mito, alla ricerca di quell’unità tra saperi e geografie che è forse il sogno più profondo della cultura occidentale.

Tag: , , , , ,