Evola_Teoria_PraticaÈ appena uscita, per Edizioni Mediterranee, Teoria e pratica dell’arte d’avanguardia, la raccolta completa di tutti gli scritti di Julius Evola dedicati al dadaismo, di cui egli fu uno dei pochi rappresentanti in Italia, prima di dedicarsi alle attività per cui è tutt’ora noto. Un volume che colma una lacuna, raccogliendo per la prima volta il suo carteggio con Tristan Tzara, varie rarità bibliografiche, i manifesti teorici, gli articoli e i saggi, una selezione di opere pittoriche e le poesie (inclusi la raccolta Raâga Blanda e il poema a quattro voci La parole obscure du paysage intérieur). Insieme, ovviamente a saggi, appendici e approfondimenti, a cura di Carlo Fabrizio Carli, Vitaldo Conte, Enrico Crispolti, Gianfranco de Turris, Dalmazio Frau, Emanuele La Rosa, Guido Andrea Pautasso, Andrea Scarabelli, Francesco Tedeschi ed Elisabetta Valento. In attesa della sua presentazione romana, che si terrà giovedì 7 marzo, alle ore 18, presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, pubblichiamo qui, per gentile concessione dell’Editore, queste Note di filosofia Dada, risalenti al 1919, il cui manoscritto fu mandato da Evola all’artista dadaista Hans Richter (se ne conserva copia negli archivi dello Schiller National Museum di Marbach am Neckar).

La bandiera che il vento agita, come bandiera non esiste. Occorre non accettare assolutamente nulla, diffidare, staccare la crocifissione. Io son Dio se egoizzo, se nego; là dove mi abbandono sono un bruto, una donna.

Accettar la vita significa abbandonarsi, abdicare: vigliaccheria. V’è una libertà che è la peggior schiavitù; vivere è una non-esistenza: sentimento, pensiero, emozione, amore.

Esiste una forza di gravitazione umana che, pertanto, esiste in quanto io la concepisco: là è il male, l’inconcepibile, l’impuro; ma in noi esiste parimenti l’altro potere, la possibilità di realizzare una gravitazione di senso opposto: là è il nostro potere divino, la nostra proprietà. E la seconda forza arresta la caduta infinita che la prima impone; nell’equilibrio tutte le cose divorano se stesse: da qui il caos, la morte, la disorganizzazione, la nostra vita e la nostra purità.

Possedere, non essere posseduto. Io ho la logica e non la logica ha me; io ho pensiero e contradizione, non è che tutto ciò mi abbia. Non bisogna permettere mai ai figli e agli schiavi di divenire i padroni dei loro padroni. Ma sull’incendio si schiude un fresco miracolo nell’etere del secondo spazio. Io muoio perché non muoio.

Corruzione: anche lo stesso sentire è corruzione infinita, v’è una voluttà e un’ebbrezza indicibili nella corruzione: e là è la nostra umanità.

Tutto ciò che cerca è malato; la ricerca è isterismo; la ricerca ci svia gli occhi. Chi cerca non trova mai, perché egli prova che è fuggito e che i suoi sensi son chiusi. L’uomo urla alla superficie e scaglia i suoi occhi nel cielo. La verità è la scusa dell’attività: la scusa però può chiamarsi anche bene, […] Umanità, libertà, conoscenza; ma tutto questo è nulla per l’attività che vuole solamente affermare se stessa, il puro movimento senza causa né fine, impulso, materia, oscurità senza nome, piacere, follia: gravitazione che muove in circolo. Tutto il resto serve per l’ubriachezza del mercato: fuochi maleodoranti che degli escrementi freddi e delle croste alimentano. Ricerca!

Estinzione delle seti: finché, alla fine [cadrà] al fondo della tenebra esteriore il fardello oscuro e carnale della nostra umanità. Rinchiudere in sé stessa ogni necessità. Ich habe meine Sache auf nichts gestellt. Il grande silenzio.

Vi fu un giovane dio sbarcato in una metropoli per la prima volta: [ne]l fissare / e pel fissare / non trovò che enormi costruzioni di cartone freddo, deserte, senza luce né uomini né anima. Ogni forza era morta, decomposta; [nel cir]colo d’inerzia, sopravvivevano gli schemi scientifici delle forme in uno stu[por]e senza fine. Ed egli calmò in segni magnetici e in giuochi limpidi [la] terribile congestione in potenza che urlava in questa vita senza vita: ca[pr]iccio.

La filosofia può essere una buona arma contro se stessa, e anche la logica. Perché io, non posso toccare nulla: che tutto in sé stesso, trovi la propria [di]struzione. Noi inoculiamo nel nostro sangue il germe della decomposizione, poi ce ne andiamo. La conoscenza è anch’essa un’arma: conoscere è uccidere. Umanità: occorre in[ce]ndiarla, devastarla con noi stessi.

Tutte le cose, al difuori, s’illuminano di colpo, poi esse si precipitano in […]ntro e divengono vento. Oh, mie care amiche! Tutto quel che esiste in noi deve esser contradittorio; è questa la condizione d’essere della pratica presso un’esistenza astratta. Dada è contradittorio, e per questo non è contradittorio. E io voglio essere in contradizione con me stesso sino al punto di dimostrarmi che non lo sono affatto.

Io so quel che faccio. Io sono in malafede. Io sono assoluto. Spingo la corrente dal mare al monte. L’uomo esiste realmente solo quando fa un lavoro negativo. Occorre dissolver tutto in attrito.

Bisogna disprezzare l’amore e le donne. Bisogna passarsene di tutto. La superficialità è una cosa molto profonda. Io sono molto mondano. Prendere un tè con eleganza è più morale che far dell’arte.

Schiantare tutti i ponti: esser incomprensibile a priori. Volere freddamente, chirurgicamente, sempre. Coscienza Morte ecc. ecc.

J. Evola

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