A seguito delle sanzioni imposte dal voto unanime del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nei confronti della Corea del Nord, il governo di Pyongyang ha risposto con la doppia minaccia di un attacco nucleare preventivo verso Corea del Sud e Stati Uniti e dell’annullamento della tregua firmata con il governo di Seul nel 1953.

L’innalzamento della tensione sposta nuovamente l’attenzione mondiale sulle dinamiche politiche e strategiche regionali e spaventa i governi limitrofi circa l’eventualità di un’escalation militare che avrebbe conseguenze serissime sull’intera area.

La Corea del Nord ci ha abituati negli anni a minacciose esibizioni di forza, al fine di attirare l’attenzione politica e di negoziare condizioni favorevoli alzando la posta in gioco. Ogni volta ci si chiede quanto la minaccia sia reale o quanto, in realtà, sia un bluff retorico ben studiato.

La prima volta in cui la Corea minacciò un attacco atomico fu nel 1994 quando gli Stati Uniti proposero davanti alle Nazioni Unite sanzioni internazionali per fermare il programma nucleare intrapreso da Pyongyang. La capacità tecnologica e balistica nordcoreana odierna, tuttavia, non è in grado di lanciare alcun attacco missilistico, anche qualora disponesse realmente, ammesso e non concesso, di armi nucleari operative. I Nordcoreani sanno che si tratterebbe di un’operazione suicida per l’immediata rappresaglia che gli Stati Uniti sarebbero pronti a lanciare.

Più preoccupante è la minaccia di rottura l’armistizio con la Corea del Sud. Pyongyang formulò questa ipotesi già nel novembre 2010, quando la sua artiglieria bombardò l’isola sudcoreana di Yeonpyeong. Azioni di simile portata sono oggi più probabili di un attacco nucleare e vanno temute per i danni considerevoli che comporterebbero ad un costo limitato. Il taglio della “linea rossa”, il collegamento telefonico d’emergenza che attraversa il villaggio di tregua di Panmunjom, da parte della Corea del Nord in risposta all’inizio delle esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seul ne è la prova.

I Sudcoreani sono abituati ormai da decenni al confronto aspro e alla retorica minacciosa, ma oggi la reazione delle istituzioni e della società potrebbe riservare sorprese, per tre ragioni. Primo, Seul ha da poco eletto un nuovo Presidente, la signora Park Geun-hye prima donna a ricoprire quel ruolo nella storia del paese. Park  deve ancora confrontarsi con le minacce di Pyongyang e sa che la realpolitik è ben diversa dalla retorica elettorale. Secondo, vi è un senso diffuso e senza precedenti nella società di voler porre fine all’insicurezza proveniente da nord risolvendo la questione in modo definitivo. Terzo, a seguito degli attacchi del 2010, si è sviluppata una chiara volontà a rispondere in maniera decisa qualora situazioni simili dovessero nuovamente presentarsi.

Se Pyongyang dovesse dare chiari e nuovi segni di provocazione, non ci sarebbe da meravigliarsi di fronte ad una forte rappresaglia da parte del governo di Seul. Né oggi si può escludere un attacco preventivo dalla Corea del Sud verso nord. In entrambi gli scenari, l’escalation sarebbe difficile da controllare.