Martedì 17 settembre 2013 – San Roberto – Taurianova

Ditemi che non è vero. Che è tutta una bufala. Ditemi che non può essere accaduto e mi rimangio tutto quello che, da anni, vado predicando. Vox clamantis in deserto. E, invece, temo, nessuno potrà negare. Il paradosso è accaduto eccome!

“Ciao, siamo in tre!” “Ma siete eteroooo???? Nonnò, non si può. Imbarchiamo solo finocchie!” Ma io sono gay!” “E lllòòòrooo??? Ammè sembrano eteri. Non posso farvi entrare: dentro ce ne sono già tanti. Se volete entrare, dovete, almeno, limonare un po’…” Se anche le parole non saranno state queste, precise precise, le intenzioni, sembra, quelle erano. Sbarrare l’ingresso della discoteca gay ai non addetti  ai languori. E Genova ha mostrato una faccia del cristallo che nessuno pensava potesse esistere. Quella del razzismo ghei. Scusate, ma LO AVEVO DETTO. Lo sentivo dentro che saremmo arrivati a tanto. Quando si superano i limiti, arrivano i razzismi periferici. Quelli dei cretini. Quelli, però, che fanno più male, perché arrivano in faccia ai semplici. Se un razzista attacca me, che ho le spalle larghe, poco ottiene. Al limite, una sonora risposta dalle pagine di un giornale. Ma se un cretino razzista, che si sente autorizzato da queste scriteriate campagne incoraggianti ed incoraggiate, offende o maltratta un ragazzino o una ragazzina in fase di timido coming out, allora la famosa frittata è fatta!

E, ancora, chi autorizza un buttafuori a negare il diritto ad una persona, etero o gay, alta o bassa, grassa o magra, di entrare in un locale aperto al pubblico??? Chi si può permettere l’ardire di imporre “una limonata garantista” a due perfetti estranei? Ma stiamo veramente fuori come gerani alla finestra? Qualche decennio fa, mentre lavoravo in teatro a Parigi, ricevetti la visita di alcuni amici italiani. Fra loro, Alba e Cecino, moglie e marito. Dopo la cena da Bofinger, frutti di mare e Chateau, mi chiesero di andare in un qualche locale per divertirci insieme. Chiesi ad amici parigini e mi indicarono LE BOY, in rue Caumartin, a tre fiati dall’Opera Garnier.

Ci andammo. Ci presentammo alla porta e, delusione, un addetto alla porta mi schiacciò sul naso un NON! VOUS N’ETEZ PAS GAY! che mi offese terribilmente! Io? Non sono gay? Io sono ricchionissimo, gli risposi, mentre Alba e Cecino ridevano come matti “Vedi che te lo dicono anche a Parigi? Convincitene, che non sei frocio!” Fortunatamente per me, avevano torto. Negli anni, da omosessuale convinto, incontrai anche l’Amore. Ma non tergiversiamo. L’episodio di Genova mi ha subito riportato alla memoria quella notte nella Ville Lumiere. E anche lo stato di frustrazione che proviamo, da omosessuali non mascherati, a farci riconoscere, prima, e accettare, poi, proprio dai froci come noi. Non ci vogliono.

Proprio come non vogliono il ricchione credente, cattolico e, magari, pure di Destra. O, comunque, non di sinistra. Perché noi saremmo finti, mentre loro hanno il marchio DOC. Il certificato di garanzia. E sono violenti, sapete? E razzisti! Attaccano! Sui social, sul web, sulla carta, durante gli incontri. Con discorsi, frasi, parole avvelenate con la punta delle unghie finte. Io ci sono abituato e me ne strafotto. Non è certo l’ipocrita amicizia interessata dei pochi cretini a sbarrare la strada ai sentimenti profondi dei tanti che capiscono. Preferisco il Meglio. Da sempre. Ma… La discoteca parigina e quella genovese sono segnali. Forti e chiari. Il razzismo delle vittime è pari, se non peggiore, a quello dei carnefici. E nessuno mi toglie dalla testa che tutto questo livore sia figlio di un tiro alla fune che sta svilendo gli uni e incattivendo gli altri. A tirarla troppo, questa corda, si spezzerà. A danno di tutti. Perché tutti stiamo diventando antipatici a tutti. Da una parte e dall’altra. Vedi un po’…

… fra me e me. Davanti alla discoteca. Chiusa.

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