Martedì 1 ottobre 2013 – Santa Teresa del Bambino Gesù – In un luogo indefinibile, in fondo all’abisso dei ricordi

Dal “Diario di una vecchia checca” di Nino Spirlì

30 Novembre 1986 – Sant’Andrea Apostolo Roma

Gli avevo aperto la porta.
Era il fine settimana dei morti, intorno alle otto e mezza di sera di venerdì. Preparavo la cena. Il cane dormiva sul divano. Televisore spento; nello stereo, le canzoni di Piaf. Poi, ha squillato il telefono. Era Giuseppe, dalla cabina telefonica a pochi metri da casa mia. Mi ha implorato di riceverlo e, così, ho ceduto. E l’ho invitato a cena. Volevo parlargli, spiegargli, convincerlo. Quando il campanello ha squillato, meccanicamente ho aperto dal citofono sia il cancello che il portone di casa e sono tornato ai fornelli.

Poi la furia.

Ho sentito solo sbattere la porta d’ingresso e ho visto Giuseppe entrare in sala assieme a due energumeni. Non mi hanno dato il tempo di dire Amen ed hanno cominciato a pestarmi a calci, pugni, testate contro il muro, contro i mobili e a turno hanno abusato di me. Continuando a picchiarmi. Tutti e tre. Probabilmente pieni di cocaina. Mi parlavo nella mente e mi dicevo non gridare tanto è inutile. Mi parlavo da morto e non provavo dolore. Avevo il gusto del sangue sotto la lingua e sentivo come due fiamme ardere ai fianchi. E ancora pugni e calci. E poi mi trascinavano sul pavimento. Ho sentito guaire il mio cane. Probabilmente pestato anche lui. E il buio. Come se mi fossi addormentato. Come un sonno non sonno. Mi sono risvegliato domenica pomeriggio, immerso in un mare di piscio, merda, vomito, sangue e Dio sa cos’altro, col mio cane che mi leccava sul viso freneticamente, come per svegliarmi; ero stato in coma, ma Dio non mi ha voluto. Ho tentato di alzarmi per avvicinarmi al telefono, ma ho un po’ di ossa rotte e non ce l’ho fatta. Strisciando ho raggiunto l’apparecchio. E, nel torpore della memoria, ho ricordato il numero di Francesco, il medico più discreto e disponibile che abbia conosciuto in questa città chiacchierona. È venuto, mi ha portato nella sua clinica dove abbiamo dichiarato che ero precipitato giù dal cantiere della mia casa di campagna. Gli infermieri si sono guardati negli occhi coi medici: nessuno ci ha creduto. Hanno fatto finta di farlo. Sono ancora a letto. A casa di Francesco. Ai miei abbiamo detto che ho avuto un piccolo incidente di moto e che è tutto sotto controllo. Sono io che non sono sotto controllo.

Gli avevo aperto la porta…

Ditelo a Rosy Bindi e a Massimo D’Alema, prima che vadano a testimoniare a difesa di Gianni Romoli. Dite a loro e anche a tutta quella sinistra Sinistra che ha visitato, incoraggiato, aiutato il Forteto di Roberto Fiesoli, il lager alle porte di Firenze, nella rossa Toscana, perché continuasse a fare come stava facendo, che quei maledetti, mai messi in dubbio, violentavano e schiavizzavano ragazzine e ragazzini che venivano loro affidati. E Dio solo sa cos’altro succedesse, in quel cimitero dell’Anima. Dio e le Vittime. Ma le Vittime, spesso, “si parlano da morto e non provano dolore”. Io, pure. Io, Nino Spirlì, mi parlo da morto. Da 27 anni. Quel Diario è la mia vita. Io so cos’è la violenza.  Ditelo, o mettetemi in contatto e glielo dico io, che quelle piaghe, nel cervello, nel cuore, nell’anima di quei ragazzi, non rimargineranno mai. Che resteranno lì a imperituro ricordo delle nefandezze umane. Dite ai disattenti amministratori che l’hanno ingrassato, il Forteto, per oltre tent’anni e con milioni di euro pubblici, che quel luogo era l’Inferno travestito da paradiso. E che le code dei diavoli spuntarono più volte fuori dal cancello. Ma furono opportunamente ricacciate all’interno. La vergogna fu più importante del peccato. E dettò le sue leggi. Maledette leggi.

 

… Proprio oggi una cara amica mi ha raccontato il suo dolore di madre. Anni fa, un uomo della sua famiglia violò la sua bambina. Un uomo importante. Quella bambina, oggi una donna, porta in sé tutto lo squilibrio mai più risolto, metabolizzato. Anzi.

Noi violati continuiamo a respirare da morti, pur vivendo.

E, dunque, Bindi e D’Alema testimonino se sanno. Senza omettere. Se ce la fanno. Pensando alle Anime dei morti viventi.

Io non c’ero, al Forteto. Il mio è  uno di quei casi di “violenza domestica”(ma, ne sono certo, il gelo dentro è lo stesso). Il caso di un ragazzo che dice di no ad un uomo ricco e potente, che decide di “dargli una lezione e, magari, farlo fuori”. Così non parla. Peccato per lui che io abbia già spento 52 candeline e ne voglia spegnere almeno altre 48…

… fra me e me. Tremando, al ricordo.

 

 

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