Giovedì 17 ottobre 2013 – San Rodolfo – Taurianova

Già! Quando il nostro Paese sapeva di tagliatelle alla bolognese, polenta e osei, gattò di patate, melanzane ripiene, sarde a beccaficu… Quando per le strade si sentiva una sola lingua, magari colorata da qualche termine in dialetto. Quando, dopo le prime diffidenze, la figlia del parùn sposava il terrone e dava vita alla nuova razza italiana. Da Unità d’Italia vera e non commissionata. Quando l’automobile era Fiat e la moto Piaggio. La crema Nutella di nocciole Piemonte e la bevanda il Chinotto.

Non è mica preistoria. Sono gli anni in cui passavo dalla Prima Comunione alle prime pippette. Se oggi ho 52 anni, all’epoca me ne mancavano 40. Praticamente, ieri. Ancora al liceo portavo il panino col salame, non certo le pringles. E la patatina era San Carlo. Io, i neri, li vedevo a Roma, quando ci andavo con mio Papà. Erano funzionari e impiegati d’ambasciata. Pochi. I cinesi manco c’erano. Forse non esistevano. Gli arabi? La prima volta che se n’è parlato in italiano, è stato per il caro petrolio ai tempi dei matrimoni delle mie sorelle, Loredana ed Eleonora. Erano gli anni settanta.  All’epoca ci lasciarono a piedi per l’austerity. Prima parola straniera pronunciata dal popolo italiano. Più o meno.

 

In Calabria, poi, a quei tempi, era considerata già straniera la donna di Bagnara che sposava il taurianovese, o viceversa. Per tutta la vita restava ” ‘a bagnarota”, oppure “u radicinisu”, termine che indicava il massimo della concezione di forestiero. Nonostante tutto, però, l’Italia si mischiava. E si capiva. Poi, ci siamo addormentati, una sera e, al mattino, ci siamo svegliati con un dito puntato sul naso: sei razzista o tollerante? Xenofobo o esterofilo? Ma che cazzo ne so? Non capisco cosa stia succedendo, in realtà. Vedo che arrivano stranieri a frotte, forse bisogna aiutarli. Forse, no. Poverini, scappano da fame e povertà, da guerre e tirannie. Forse dobbiamo accoglierli. Forse, no. Proviamo a dar loro una mano… E, da lì, l’ecatombe dell’Italia e dell’italiano.

A milioni ne sono arrivati. Molti si sono fermati. Hanno fatto casa. Famiglia. Spesso importata. A volte impastata in loco. Siamo, oggi, un Paese multietnico. Ma non siamo quasi più Italia. Lo scialle di nonna, di lana, fatto all’uncinetto, rotondo e ripiegato sulle spalle, ha lasciato il posto alla pashmina, le polpette al sugo sanno di coriandolo, il pollo è quasi sempre al curry, l’auto è coreana, la moto giapponese, il televisore cinese, i pantaloni indiani, i monili vengono dall’Indonesia… Più o meno. Perché, poi, in verità, quasi tutto è fabbricato in Cina. I nostri vicini di casa sono tamil. L’idraulico indiano. Il muratore rumeno. Il fruttivendolo pakistano. La badante marocchina. La colf filippina. La mignotta russa. Gli eterni universitari, mantenuti fino ai trent’anni, sono italiani di ultima generazione. E i rompimaroni ancora continuano con la litania Sei razzista o tollerante??? Sono come sono! Stanco di dovermi giustificare ogni volta che penso che ci stanno invadendo. Che stanno approfittando della nostra accoglienza e disponibilità. Che pretendono di comandare in casa nostra e di trasformarci in un popolo senza dignità  e senza storia. Stanco di dover difendere strenuamente ciò che mio Padre e suo padre prima di Lui hanno costruito per me. Stanco di sentirmi dire che Loro, i Poverini, fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare. Grazie al piffero! Agli italiani andrebbero pagati i contributi che Loro, i Poverini, PER ORA, non chiedono. Loro vivono ai margini delle nostre leggi e, dunque, ci fottono. Noi i nostri diritti li vorremmo tutelare. Difendere anche da noi stessi e dai nostri biechi interessi. Loro, i poverini, diventano complici di chi aggira la Legalità e si pulisce il culo col Tricolore e ciò che rappresenta.

Salviamola, questa Italia. Sommersa d’Arte e di Storia. Costruita con la lotta degli Eroi e la filosofia degli Uomini. Col Sangue ed il Pensiero. Teniamoci di più, a questo nostro BelPaese. Recuperiamo. Tutto! Il televisore Mivar, i bucatini all’amatriciana, i pelati san marzano, i canditi di Sicilia, il vino fatto d’uva. La seta di Como e il corallo di Sardegna. Il cuoio fiorentino e la gallina padovana. Il pecorino di Monte Poro e l’oro di Valenza. Riportiamo il Cinema sul Tevere, Pirandello nei Teatri, Caruso nelle Radio.

Spazziamo via ogni infido e viscido tentativo di disitalianizzazione! Difendiamo il lavoro e la voglia di lavorare. Apriamo le porte ai nostri connazionali che sono alla canna del gas. Riprendiamoci il territorio e facciamo quadrato!

Si sentano ospiti, di passaggio. Accolti, graditi, ma temporanei.

Siamo stanchi? Beh, sosteniamoci a vicenda. Ma veramente!

 

… fra me e me… mentre batto su tasti cinesi…

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