Martedì 11 febbraio 2014 – Beata Vergine di Lourdes – Catania

Sto dirigendomi verso la città della Montagna. Dal finestrino del pullman di linea, spio il Mongibello che tace e riposa. Ci ha fatto paura, un mese fa. Circa. Ribolliva e vomitava lava. E tuonava. Dio, come tuonava. Di notte, si sentiva anche da casa mia, nel cuore della Piana di Gioia Tauro. Ora è qui. Davanti agli occhi. Praticamente, una montagna. Nessun segno di pericolo. Meno male.
Vado a presentare il Diario di una vecchia checca ai catanesi. E, domani, al ritorno, lo presenterò ai messinesi. Ancora giro. Piace, il mio libro. Forse, incuriosisce la vita di questa vecchia carcassa spietata anche con se stessa. Forse. O forse è di moda leggere di froci. Più probabile…
Stamattina, in stazione, a Gioia Tauro, due anziani parlavano fra loro a voce bassa. Mi sono fermato a rubare qualche frase di quella conversazione fitta fitta. Anche perché, passando loro davanti, avevo potuto cogliere una punta di dolore nelle parole di uno dei due. Anzi, era proprio una voce spezzata dal pianto. “In tre anni, mi morìu a mugghièri, a figghjia e nu nipùti.” (In tre anni, ho perso mia moglie, mia figlia e un nipote). L’ho osservato con discrezione. Le lacrime si incuneavano fra le profonde rughe da contadino. Poi scendevano sul collo sdrucito di una camicia a righine che spuntava da un maglione marroncino. Di tanto in tanto, si asciugava il viso col dorso della mano. L’avrei abbracciato e baciato. E gli avrei detto che ci sono! Anche se non sono quel nipote, quella moglie e quella figlia. Ma non sarebbe stato sufficiente. Perché non sono la vita. “Puru eu su cottu. E non mi curu. Così mi ndi vajiu. E così sia!” (Sono cotto anche io. E non voglio curarmi. Così vado via. E così sia!)
Peppino – gli dice l’amico – anche a casa mia è stata una tragedia. Mio figlio, mia sorella, mio cognato, e due nipoti. Uno aveva sette anni. Ci hanno avvelenato! Pure la televisione lo ha detto, ieri sera. L’acqua, pensa tu, è avvelenata pure quella…
Già. Anche l’acqua. E, con essa, la terra, i cavoli e le lattughe. Gli animali domestici. Il latte. Il pane. La nduja. Il peperoncino calabrese. E la sardella, il tonno sott’olio e l’intera Calabria. Solo i Bronzi stanno bene, al museo. Noi moriremo tutti di cancro. Grazie, ndrangheta!
Ma non saremo i soli a volare da Gesù per colpa di un esercito di delinquenti spietati. Perché, lo ha detto la televisione, anche le strade e le autostrade del nord nascondono, sotto l’asfalto, tonnellate e tonnellate di rifiuti tossici. Anche il Nord ha avuto il suo esercito di delinquenti spietati.
Leggi qui
In questo, solo in questo, l’Unità d’Italia, è avvenuta! Condoglianze, Italia.
Ci hai voluti fratelli nelle raccomandate di Equitalia e nei risultati delle analisi cliniche. Rovinati e malati.
Eccolo, il popolo italiano. Difficile sbagliarsi. Distrutti così, solo noi. E, per giunta, invasi dagli italiani di domani. Sempre più arroganti e pretenziosi. Ma, forse, hanno ragione loro. Gli stiamo consegnando un Paese interamente spalmato di merde tossiche: questi si fanno migliaia di km di deserto, rischiano la vita sulle carrette del mare, subiscono, spazientiti, le angherie dei centri di accoglienza, per poi mettere su casa in un’Italia avvelenata. Non siamo più gente ospitale. Bisogna ripulirla, questa penisolaccia. Se non per noi, ormai contagiati, almeno per Samya, Khaled, Reza, Chuan, Andrei, Olga, Irina…
… Fra me e me. Mentre vivo in una Calabria piena di segreti mortali. Mentre prego per la mia Italia piena di segreti mortali.

Tag: , , , , ,