Domenica 9 marzo – Prima di Quaresima – Taurianova

(un fotogramma del video girato alla scuola d’infanzia di San Costantino in provincia di Vibo Valentia)

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E’ successo ancora! Ancora sevizie ai bambini di una scuola d’infanzia! Questa volta in provincia di Viterbo. A Monterosi. La maestra è di Ronciglione, un paesino vicino. Oggi è ai domiciliari. Come tutte le sue colleghe di orrore. Tutte a casa e non in galera. Nonostante il mondo dica “Buttatele in cella e gettate le chiavi a mare”. Per loro, per le maestre delle mostruosità, il garantismo è assicurato. Nonostante i video che le inchiodano alle loro colpe siano espliciti. clicca qui

Come quello girato in una scuola della provincia di Vicenza, per esempio, dove la vittima era un bambino con difficoltà. Un vero orrore.

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Ci ho pensato molto, prima di scrivere questo post. Mi costa molto rimanere nei ranghi. Io, senza ragionarci su, direi che dalle mille alle duemila frustate sul groppone di certe maledette sarebbero un buon inizio. Parlerei di ergastolo, sapendo che, in realtà, non basta. Non credo né nella rieducazione, nel recupero, né nell’allontanamento dalla società tenendole in galera. Ma so che la mia Fede mi impedisce di pronunciare una condanna a morte, e che, comunque, non potrei. Né come cittadino italiano, né come umano in generale.

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Ma ce l’ho sulla punta della lingua. E, se non la sputo, comunque non la ingoio. Sì, non la ingoio la rassegnazione. Perché la violenza non può essere perdonata. La violenza chiede giustizia, se non vendetta. Poi, la violenza sui bambini e sui disabili è, in assoluto, da considerarsi pari all’omicidio. E anche di più. Visto che il morto resta in vita e ricorda. No, scusatemi, ma non posso rassegnarmi. Io la violenza l’ho conosciuta da adulto e per mano “amica”. E, detto fra noi, non ho mai dimenticato, né perdonato. Se il mio perdono nei confronti di chi picchiò, in quella lontana sera di circa trent’anni fa, fosse l’unico motivo per farmi entrare in paradiso o sprofondare all’inferno, cadrò sicuramente fra le braccia del diavolo più infuocato. E amen.

Non passa un mese di questi nostri anni, senza che non ci cada addosso un video girato segretamente dalle forze dell’ordine in una scuola materna o in un asilo. E ognuno di questi filmati attesta inequivocabilmente come certe finte educatrici sfoghino la peggiore violenza su vittime innocentissime.

La tragedia, poi, continua. I genitori, mamme e papà, che denunciano, spesso si trovano a lottare contro muri di gomma alzati dalle istituzioni scolastiche e, purtroppo, da altri genitori. I garantisti maledetti. Quelli che sono capaci di affermare che uno schiaffo era solo una carezza più spinta, magari.

Ebbene, non chiedetemi come reagirei io. Sarei in difficoltà a rispondere.

Non ho figli miei, e, dunque, tutti i figli li sento miei. Sono una sorta di gran padre e grande madre messi insieme. E per questo sono iperprotettivo. E con un carattere temprato da interminabili  ore di botte e violenza pseudosessuale da parte di una ghenga di luridi vigliacchi. Un mix di motivazioni, quindi, che mi spingono verso il non perdono.

Queste maestre mostro vanno scovate, arrestate, incarcerate, private della libertà, condannate a vita e tenute isolate vita naturaldurante. Perché quelle botte e quelle mortificazioni sono piaghe che non si chiuderanno mai. MAI. I picchiati, i mortificati, restano feriti per sempre. E non c’è farmaco o terapia di sostegno che tengano. La piaga resta. Nascosta agli occhi disattenti di chi ci circonda. Ma viva e aperta nel profondo dell’anima di chi ha avuto la disgrazia di subirla, quella violenza gratuita.

E, comunque, una condanna esemplare aiuta a dissuadere nuove malintenzionate. Magari quella squinternata di provincia che, in mancanza d’altro, si ricicla in qualche scuola d’infanzia, senza averne le virtù necessarie.

Ma, intanto, provveda la Scuola italiana a verificare, tramite visite accurate, la bontà e la sanità mentale del personale adibito alla cura e alla formazione dei più piccoli.

Fra me e me, infuocato di rabbia e assetato di giustizia.

ninospirlì

 

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