Venerdì 30 maggio 2014 – senza santi, oggi – Redazione di SUD, Piana di Gioia Tauro

 (I corpi delle due ragazzine violentate e impiccate dagli aguzzini)

Non ci sono santi in paradiso, oggi. Le porte del Cielo sono chiuse. Non si entra e non si esce. Il Signore dei mondi ha deciso così. Anche lassù si piange l’ennesimo orrore tutto umano. L’ennesimo peccato contro la vita. L’ennesima lucida e complice follia.

Una vergogna per il genere umano che non richiede processo, né difesa, né condanna. Solo una ferma giustizia. Solo un onesto ritorno al taglione di biblica tradizione.

No, non mi si parli di perdono, oggi. Il perdono è per l’anima, non per la persona. Non per chi, esistendo, pensa, anche solo per un secondo, di poter decidere del destino di un altro essere. Umano e non. Il perdono e la compassione sono cose che riguardano lo spirito, ma non indossano né gonne, né calzoni. E nulla hanno a che fare con i fatti e i misfatti di certi perversi. E, dunque, oggi è il giorno della rabbia e del dolore. Ma non del silenzio.

Nessuno deve tacere o far finta di non sentire.

DUE RAGAZZINE DI 14 E 15 ANNI SONO STATE VIOLENTATE RIPETUTAMENTE DA UN BRANCO DI UOMINI MASCHI PERVERSI E LUCIDI E, POI, IMPICCATE AD UN ALBERO DI MANGO.

In India.

Ma, siamo sinceri, sappiamo che in queste stesse ore, minuti, secondi, in tutti i Paesi del mondo sta accadendo la stessa cosa!!!

Penso alle spose bambine dello Yemen e non solo, alle bambine violentate dai bastardi pedofili in Asia e America del Sud, alle giovani prostitute dei Paesi dell’Est, alle figlie vendute anche in Italia. Tutte vite spezzate dalle mani degli adulti maledetti. Anche familiari. Anche sangue del sangue. A volte, celati dal paravento di un finto amore.

Ma la foto dei due corpicini appesi al mango, mi spezza l’anima in due e ne fa vergogna. Sì! Mi vergogno io per loro. Mi vergogno di appartenere allo stesso genere, la stessa specie. Forse, la stessa razza, se è vero che siamo indoeuropei di nascita.

Mi schifo di guardarmi allo specchio e mi incazzo anche  per la mia vita che continua.

Io so cosa voglia dire essere afferrato da mani più potenti e tenuto prigioniero della foga di un perverso. Di più di uno. So cosa voglia dire sentire in faccia il fiato eccitato della morte e dirsi “Sono morto e non sento più nulla!” per poter sopportare quel supplizio, quel martirio, fino alla fine.

So che anche loro, le due piccole indiane, ad un certo punto, hanno pensato così. Perché accade a tutti e a tutte noi. A tutti i violati. A tutte quelle esistenze flagellate dal Male vero. L’Uomo.

Non piango, oggi. Sono un sughero senza sentimento. Una pomice senza un filo di pietà. Sono un deserto senza orizzonte.

Ingoio rabbia e verso rabbia. Null’altro.

Mi trapassano immagini chiare di vittime inchiodate alla terra, a sopportare il peso di un corpo steso sopra a vangare nell’innocenza e nella sottomissione. Mi impastano come carne macinata le urla di ragazze  e ragazzi di ogni colore, manto e religione, che in questo momento sono acciuffati e straziati da occhi e mani, e lingue e sessi, e braghe calate. Senza pietà. Senza un cenno di umanità. Contro ogni sogno e aspettativa futura.

No, niente lacrime. Solo odio. Purissimo e distillatissimo odio. In nome della mia umanità.

Non so inginocchiarmi, oggi.

… Fra me e me. E per tutti i violati di ogni luogo, in ogni tempo.

 

 

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