Sabato 25 Aprile 2015 – San Marco Evangelista – Redazione SUD, can 656 d.t., Area industriale Porto di Gioia Tauro

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Alba del 1900. Sud e Nord d’Italia. Porti pieni di povera gente che aspettava di imbarcarsi o essere imbarcata. Partivano i bastimenti. E trasportavano addii, sogni e qualche mariolo. Traghettavano da un continente all’altro le radici di piante forti che, però, qui non trovavano terra su cui attecchire. Erano i nostri emigranti. Gente che sceglieva di partire – SENZA PAGARE ALCUN PIZZO – per darsi un futuro e darlo ai propri figli.

A cento anni da quei giorni drammatici, la storia si ripete. Anche se con molti dubbi. Migliaia, forse milioni di africani e mediorientali lasciano le loro capanne di fango e le loro case poverissime, per dirigersi verso l’Occidente. Precisamente, verso l’Italia. Spendono da tre a cinque/seimila euro a capoccia per attraversare i deserti, le foreste e il mare e giungere da noi, con la prospettiva di diventare barboni o sottoproletariato sfruttato dalla malarazza della mafia.

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Prima domanda, primo dubbio. Dove prendono tanti soldi?

Seconda domanda, secondo dubbio. Chi glieli da?

Terza domanda, terzo dubbio. Perché non investirli in Africa o nei loro Paesi, dove tutto costa meno di un decimo rispetto a qui?

Quarta domanda, quarto dubbio. I parenti e gli amici che sono arrivati fin qui vivi, non glielo hanno ancora comunicato, il triste destino della maggior parte di emigranti del terzo millennio?

Quinta domanda, quinto dubbio. A chi interessa questo esodo pieno di contraddizioni? Chi ci guadagna?

Mille domande, mille risposte. Una verità inconfutabile: Non ne possiamo più. Almeno noi che non ci mangiamo sopra!

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Già. Perché c’è chi si sta ingrassando, con questi sbarchi. Chi gestisce certe strane cooperative, certe strane associazioni, certi strani centri d’accoglienza, certi strani progetti socioculturali unti di sovvenzioni e finanziamenti. C’è chi, in tonaca e non, rosso di falce e martello e non, finto buono e finto solidale, porta a casa soldi, viveri, viaggi, medaglie e onori; tutti “guadagnati” grazie ai neri. Senza che a loro cambi la vita. Quelli, con la rogna arrivano e con quella restano. Che sia una malattia o una condizione sociale, poco importa.

Abbiamo visto mai, uno di questi buonissimi buoni italiani portarseli a casa, i “migranti”, come poeticamente insistono a chiamarli forzando la lingua italiana? Ma neanche a Natale. O a Pasqua (che, fra l’altro, non bisogna nominare per non offendere il dio per il quale i terroristi ci scannano). A meno che, non abbiano 18 anni, ciglia lunghe e pettinate, un fisico pazzesco e siano studenti di una qualche università africana o turbantata di lino e Arafat. Allora fa chic e non impegna. Allora sì, che meritano di sedere ad una tavola occidentale. Altrimenti, col piffero! che i buonastri si fanno sporcare le sedie buone della sala vellutata!

E, però, se devono rompere i maroni agli Italiani onesti, offendendoli a colpi di razzista! e classista!, lo fanno, eccome! Italia che offende altra Italia, pur di sembrare buona e giusta. Pur di dar vita alla pantomima vergognosa della solidarietà ad ogni costo. Pur di difendere sordidi interessi. Quelli che li fanno diventare schiavi, servi, di questo vergognoso sistema. Quelli che li mettono nella condizione di farsi ricattare da qualche “capetto” di pelle scura.

Non molti mesi fa, il sindaco di un piccolo centro della Calabria bloccò la troupe della mia televisione, definendomi razzista, perché sollecitato da un mediatore culturale tunisino che avevo invitato pubblicamente a prendere le distanze da ISIS. Chiaramente non lo fece. Quell’amministratore, spaventato e ricattato proprio dal simpatizzante dei terroristi, temette di perdere lo SPRAR. Temette di perdere centinaia di migliaia di euro legati alla presenza (scomodissima per i cittadini) di rifugiati politici nel suo paesino.

E’ così che moltissimi fra gli stranieri si sentono spalleggiati e rafforzati. Ridono di noi e ci trattano come dementi.

Spadroneggiano, pretendono, delinquono, ammazzano addirittura. Spesso, molto spesso, confortati proprio dalla leggerezza di certa Italia. Di certi Italiani. Se rubi qui, e rubando ammazzi, poi patteggi e sei fuori avantieri; se lo fai al tuo Paese straniero, non vedi il battesimo nemmeno dei tuoi pronipoti. Se vai vagabondando per le nostre capitali, le forze dell’ordine non possono più neanche fermarti; se tenti di girovagare per le vie della tua città straniera, ti risvegli dalle botte di manganello solo per vederti coprire di massi durante la lapidazione. Sei omosessuale qui? Devi scegliere solo in che locale andare a ballare. Lo sei al tuo Paese straniero? Ti buttano giù dalle torri più alte, ti impiccano o ti lapidano prima ancora di averti dato il tempo di pensare che ti piace il bigolo.

Eppure… Leggiamo i giornali italiani, quelli rossi e quelli che sanno di incenso e tonaca, e ci sembra, giorno dopo giorno, che essere ITALIANI sia una vergogna, mentre essere migrante sia una sorta di privilegio.

Anche molte alte cariche, civili ed ecclesiastiche, in Italia, subiscono il fascino dell’invasore. Una sorta di sindrome di Stoccolma, più o meno. O, forse, una sorta di ringraziamento per il lievito sul conto in banca. Certa carriera, spesso, è direttamente collegata alla confidenza ai forestieri…

Amo un’altra Italia. Quella per cui i miei Antenati si sono distrutti sui campi. Non abbasserò mai il capo davanti a nessuna mafia. Men che meno davanti a quella che sta strappandomi la mia Terra. Il mio Passato. Il mio D*O. La mia Religione. Il mio Futuro. Non sarò mai schiavo, né servo. Men che meno di certi invasori con la faccia buona del naufrago. Perché su quelle barche non c’è solo speranza. C’è anche odio.

Fra me e me.

P.S. Fra l’altro, mi chiedo perché i cinesi costruiscono enormi città in Africa… Perché non danno le case agli africani, che, invece, costringono all’esodo? Magari stiamo svuotando un intero continente per fare un favore proprio ai cinesi. Guarda un po’!!!

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Buona visione

 

 

 

 

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