Martedì 20 settembre 2016 – Santa Fausta martire – Redazione di SUD, Calabria

Buoni a tutti i costi. Anche rasentando il ridicolo. Anche mettendo a rischio la vita degli altri, fossero pure le persone care. Una sorta di incancrimento del messaggio evangelico, della chiamata cristiana. Buoni per presunto dovere e non per piacere. O, meglio, per natura. Di una bontà da scatto fotografico, da videocamera del cellulare, sempre accesa e sempre in azione. Quella bontà che ci rende famosi all’istante, protagonisti immediati delle bacheche dei social network, i moderni palcoscenici prêt à porter. Quelli con la ribalta facile, che non si rifiuta a nessuno. Men che meno, appunto, ai buoni 2.0

Un popolo di indegni e loschi figuri, che sta sostituendosi a beati e santi. A martiri e testimoni della Fede. Preti maneggioni con in tasca fondazioni presuntamente benefiche, ma ramificate come la migliore delle famiglie mafiose con competenza mondiale; benefattori laici in cerca di affermazione sociale, economica e politica, ammantati di solidarietà (pelosa) a favore di nuovi schiavi terzomondiali del modello chiunquessisiano; matrone attempate con l’anima confusa e il corpo impastato con scadenti balsami cinesi  e carne di bordello, anelanti maddalenistici perdoni divini; greggi umane violentate dalla finta ricchezza da acquisto compulsivo, che, finite le collezioni di robot domestici, si dedicano, facendo finta di curare le altrui piaghe,  alla ripulitura della propria dignità calpestata o venduta sul cammino verso la risottiera con timer incorporato…

Buoni a nulla, in verità. Ma buoni da copertina. Che palesano la bontà da intervista e la spalmano ad ogni uscita pubblica. Dalle cene a pagamento (che non pagano mai) alle serate danzanti, durante le quali danzano solo quattro sgallettati pagati in natura.

Troie nelle viscere, santi con la bocca di miele, i nuovi buoni! Magari con i propri anziani abbandonati e pestati negli ospizi, i propri figli consegnati a un esercito di tossici di strada o di discoteca.

Buoni non per bontà, ma per quella sbobba lessicale vomitevole che i neologisti chiamano buonismo. Ed è così che certe associazioni di sostegno sociale distribuiscono panni vecchi e sedioloni sgangherati, trattenendo le forme di grana e parmigiano per i propri adepti; gli alberghi si aprono ai clandestini mantenuti dall’UE, ma non trovano una branda per un italiano, che sia uno, sul lastrico; le parrocchie predicano affratellamenti con gli scannatori, ma tacciano sulle violenze agli innocenti e sui soprusi ai sofferenti. Potrei continuare il triste elenco, ma fermo le macchine, per non navigare nella merda.

Non più l’Italia dei film scanzonati, girati a Positano e Capri, dove tutti ridevano e si amavano fra i limoni della Costiera e le scalinatelle napoletane; non quella della Roma girata in Vespetta e “fotografata” da grandi come Fellini, Rossellini, De Sica; non la Pianura raccontata da Bacchelli, né quel Sud immortalato da Pasolini e Loy.

Una penisola, questa di oggi, scopata come una sgualdrina dietro una siepe e abbandonata ai propri vizi, come la peggiore delle bagasce della Roma di Tiberio. Senza un presente credibile e dal futuro senza Identità. Ostaggio del relativismo e della negazione. Del risentimento e della dabbenaggine. Che maledice il Duce, ma santifica i ladri che hanno imperato dopo di lui. Che seppellisce ancora vivo IL Papa e lo sostituisce con un gaucho pericoloso come il silenzio della coscienza. Appunto.

E, proprio per preparare il mortale silenzio, si apparecchia il sentiero con le sue menzogne. Prima su tutte, la finta bontà. Madre della rinuncia e radice della schiavitù.

Fra me e me

 

 

 

 

 

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