Venerdì, 10 marzo 2017 – San Vittore, Martire in africa – a casa, in Calabria

baraccopoli

E ci voleva la zingara, per certificare che le mignotte africane esistono, eccome se esistono? Ragazze fatte arrivare apposta coi barconi. Magari, rapite o strappate alle famiglie nei loro Paesi ignoranti e arretrati come tutta la famiglia di Neanderthal. E, poi, sventrate e violate durante il cammino e nei campi di concentramento libici. Anche sui barconi, probabilmente. E, all’arrivo, – nel silenzio complice delle facce da culo dei finti buoni di casa nostra – e, infine, sbattute sulla strada in tutta la Penisola e anche nel resto d’Europa.

E, come non bastasse, trattate come schiave – non solo del sesso – anche nelle baraccopoli, nel tendopoli, nei miseri accampamenti improvvisati, nelle case prese in affitto senza contratto o occupate con la forza. Finte mamme, finte sorelle, finte mogli, finte figlie: solo mignotte, agli occhi di tutti. Africani e non. E serve di padroni senza pietà.

Donne vendute, donne senza diritti, senza dignità, senza avvenire. Trattenute con il ricatto della superstizione; o con un contratto firmato per loro da padri senza scrupoli o madri assetate dei cento dollari ricevuti in cambio dei chili di carne che in altri Paesi chiamano figlia.

Fanno pena, a vederle, con le freccine colorate, le unghie finte cinesi e i culoni d’un quintale per colpa della cellulite. Mangiano male, del resto. Mangiano come vivono. A fottere la vita. Oggi e chissà se fino a sera… Stanotte e chissà se fino all’alba. Non sono padrone dei propri istanti. Non sono padrone delle proprie carni. Né dei propri figli, mai ne avessero. Non sono padrone di nulla. Neanche di ciò che i loro occhi vedono. Le loro orecchie sentono.  Perché devono dimenticare subito sia gli orizzonti, che le parole. Anime senza karma. Esistenze che si cancellano vivendo. Dio le accolga!

Di queste poverette ne hanno scoperto qualche decina che viene fatta prostituire fra le tende sbrindellate e le baracche di cartone di San Ferdinando, a due passi dal porto di Gioia Tauro. Toh! Se ne sono accorti, cronisti e forze dell’ordine! Contemporaneamente!

SONO ANNI CHE NE DENUNCIO LA PRESENZA! Bastava leggere le mie stronzate! Magari avremmo pure potuto salvarle. Anche quelle che – ci vuole poco a pensarlo – saranno sparite nel nulla.

Ma, si sa, ognuno cerca la propria strada. Anche quella della notorietà. E, dunque, lasciamoli fare. E lasciamogliela battere, questa notiziona ai giornali di oggi. Cartacei e non!

Le hanno beccate! O, meglio, sembra che abbiano trovato le prove che, ogni notte, fra i tappeti delle preghiere ad allà e gli spinelli condivisi con le figlie di papà importanti, camuffate nei moderni parka di fabbricazione cinese, nella tendopoli ci si prostituisca alla grande. Sembra sia attivo un grande bordello a disposizione degli oltre mille negretti della comunità benedetta dalla bontà di sante tonache omertose, con la complicità tricolore di chi non dovrebbe prestarsi a tale infamia. Sembra che qualcuno abbia cantato. Che, finalmente, stia venendo fuori tutta la schiuma d’inferno che c’è in quel postaccio senza controllo. Dove, non solo si muore come bestie al macello, ma si patiscono in vita mortificazioni e patimenti indicibili. Peggio che nei Paesi africani in guerra. Quelli da cui i “tendopolesi” scapperebbero per paura di fare una brutta fine. Peggio di quella che gli tocca su questa riva del Mediterraneo? E chi lo saprà mai…

Una cosa è certa: in queste tendopoli, in queste baraccopoli, in queste bidonville, in questi accampamenti clandestini, succede di tutto. Ma niente di buono.

Lo Stato  farebbe bene ad intervenire. Perché a fare gli struzzi, si perde la dignità. E l’onore.

Fra me e me.

 

 

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