Lunedì 20 marzo 2017 –  Santa Alessandra (e San Giuseppe) – a casa, a Taurianova

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La carità è ancora un precetto cristiano? Certamente, se praticata, ormai, cum grano salis. Discernere, per trovare chi ha effettivo bisogno di un aiuto, un conforto, un sostegno: solo così si saprà indirizzare con giudizio la propria “buona azione”. Perché sapere agire bene significa anche avere cura di sé, della propria coscienza umana, oltre che del prossimo. Facilissimo, infatti, affondare una mano in tasca o frugare distrattamente nel portamonete, per cercare il soldino da lanciare in un cappello, una lattina, un bicchiere, una custodia di violino, fra le pieghe di una gonna o su una Madonna disegnata sul marciapiede. Fa tanto “bontà”; è liberatorio e anche gratificante. Ma la guardiamo negli occhi, la persona a cui doniamo? Ne incrociamo il moto del cuore? Ne sentiamo il ringraziamento? E, soprattutto, ne abbiamo valutato il vero bisogno “personale o familiare”?

Di accattoni, in giro per le nostre città, ormai, ce n’è più che pali della luce. Ovunque! Dal portone del proprio condominio in poi, è un’armata senza fine. Davanti alle scuole, ai supermercati, alle chiese, ai cimiteri, ai cinema, ai ristoranti, alle edicole, ai bar, alle profumerie; sotto ai portici; sulle piazze e per le strade. In montagna, sulle spiagge, ai caselli d’autostrada, nei porti, fuori dall’aeroporto e alle stazioni ferroviarie. Dentro ai treni della metropolitana. Alle porte dei musei. Davanti alle banche e alle poste.

Elemosinanti, questuanti, che sembra chiedano per sé e, invece, sono l’ultimo anello di una catena invisibile che porta fino al malaffare, alla malavita. Poveracci “acquistati” o “affittati” nei Paesi dell’est Europa, che vengono importati col solo fine di essere spalmati sulle strade e trasformati in macchinette aspiracentesimi. Zoppi, ciechi, sdentati, vecchi e bambini, donne e uomini. Veri e fasulli. Unico comandamento: non tornare a casa a mani vuote, pena il martirio. Li pestano, li massacrano. A volte, li ammazzano. Li cambiano ogni quindici giorni, come le prostitute dei bordelli. In un giro infinito di città e paesi. Di Stati.

La loro presenza, negli angoli del cuore, dovrebbe toccarci l’anima e “costringerci” ad aiutarli. Invece, in questi ultimi tempi di necessità per tutti e difficoltà per ognuno, vederli significa rifiutarli. Quasi, odiarli. Per colpa dell’esasperazione della richiesta d’elemosina, l’elemosina stessa ha perso la qualità di precetto divino, scadendo a mera pretesa di finanziamento. E noi, che la carità la praticavamo come mezzo di sbiancamento dei peccati, ci siamo persi la spontaneità, a favore di un più prosaico rigetto. Non la facciamo più, la carità! Nemmeno a chi ne avrebbe veramente bisogno! Perché quella monetina, che per noi è pane, passa attraverso le loro mani come olio sulla plastica, per arrivare ai forzieri dei mafiosi che li sfruttano e poi li buttano via come uno sputo. Ormai lo sappiamo e non ci caschiamo.

Non sono poveri, i poveri degli angoli di strada: sono ologrammi. Quei bicchieri, quei cappelli, quelle custodie di violino sono specchi per le allodole, sportelli delle cassette di sicurezza di malavitosi che della povertà e della bontà fanno business. Lo stesso business che sporca i ceri dei cimiteri (la maggior parte del commercio dei ceri votivi è in mano alle mafie); la vendita del pane porta a porta (a Napoli, per esempio, il “pane cafone” è roba di camorra); caldarroste, frutta, panini e tutto lo street food. Tutto commercio organizzato e controllato dai pascià del malaffare.

La carità è una cosa seria. Che ha a che fare con Dio.

E con Lui non si può essere leggeri…

E, dunque, evitiamo.