Domenica 11 giugno 2017 – Santissima Trinità – a Casa Spirlì, in Calabria

MALTEMPO: NOTTE DI BORA A 140 A TRIESTE MA MIGLIORA

È finita!

C’è un’Italia che depone le armi. Si arrende. Si consegna al tempo più o meno lungo dell’attesa dell’ultimo sguardo, dell’ultimo fiato. Abbandona la lotta e taglia la pur esile cordicella che la legava al resto di se stessa.

C’è l’Italia degli Italiani che guardavano speranzosi al futuro,  potenti di un poderoso presente e orgogliosi di un glorioso passato. Quello che sapeva di Famiglia; di Padre e Madre; di tanti figli; di lavoro onesto e sicuro; di arte e artigianato; di commerci rispettosi e intelligenti; di Fatto in Italia; di ottimi vini; di Grana e Parmigiano; di prosciutto nazionale; di seterie, lanifici, opifici nazionali; di meravigliosa musica; di tricolore; di Carabinieri sempre fedeli; di giochi per strada e parrocchie come casa; di conserve fatte a mano e ciambelloni della Mamma a colazione. Di Papi dignitosi e santi. Di origano e fragoline raccolti in montagna; panini al salame, frittata con la cipolla. Di Rosari recitati nel fienile da adulti e bambini. Di balere, serate danzanti, giradischi sulla sedia e baci rubati. Di feste patronali con le bancarelle di “cose nostre”, dai formaggi alle mandorle praline, fino ai giocattoli di legno e i pulcini di papera… Un’Italia che, però, si è stancata di discutere, denunciare, tenere duro, combattere.

E c’è un’Italia che parla cinese, veste cinese, telefona cinese, mangia cinese, vive cinese. Un’Italia che non sa rinunciare al veleno che la sta uccidendo. Che continua a lavorare italiano e spendere cinese, pur sapendo che i suoi soldi partiranno per terre lontane dove diventeranno altro prodotto cinese che sarà venduto in Italia a italiani rincoglioniti. Un’Italia che scambia la propria esistenza col nulla cosmico delle porcherie di concezione e fabbricazione cinese o asiatica.

Un’Italia che, fra l’altro, si arrende all’invasione programmata del proprio territorio, senza battere ciglio. I cinesi si comprano l’Africa e la svuotano degli indesiderati abitanti, e noi li andiamo a prendere sulla battigia del continente nero. Li portiamo sui marciapiedi delle nostre città e lì li abbandoniamo; a rubare, violentare, delinquere, battere, crepare come bestie, fottendoci i soldi che arrivano dalla fontana rotta dell’unione europea, l’ente che si sta occupando di gestire il fallimento, imposto, del Belpaese… Ma, novella Cassandra, sono sicuro che dureranno poco, quei milioni: c’è già chi sa come mandare a gambe all’aria quelli che se li stanno stipando nei calzoni.

Ebbene, quest’Italia 2.0, mascherata da se stessa, ma completamente snaturata e svuotata dell’anima, offre il culo ai terroristi dell’islam. Ai clandestini poligami e seguaci di un beduino che da oltre mille anni sogna di annientarci. E, forse, è venuto proprio il momento. Fra riso Canton e pita con kebab, noi italiani non siamo mai stati tanto coglioni e assoggettati. Ammaliati da quattro sciacquatrippe di politicanti ignoranti e sgraziati, ci consegniamo al boia straniero, senza colpo ferire.

E, dunque, fate vobis! Noi – quelli che continuano ad amarlo, questo benedetto Paese –  ci separiamo e ci godiamo questi ultimi anni – veramente ultimi – imitando quel grand’uomo di Cincinnato. Voi, beh, voi…

(Mai come oggi ringrazio Iddio di avermi regalato questa benedetta omosessualità: senza figli, non temo il futuro. E, dopo di me, sia il diluvio…)

 

 

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