Martedì 3 aprile 2018 – San Riccardo – a Casa Spirlì, in Calabria

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E ancora, ancora, ancora… Campi nomadi  sempre più “armati” di arroganza, violenza e … spranghe!

L’ultima sassaiola è di qualche giorno fa. Precisamente, delle ore in cui Nostro Signore stava resuscitando… Gli agenti della Polizia tentano di fare il proprio lavoro, cercando di arrestare dei LADRI, ma vengono aggrediti e picchiati violentemente da qualche centinaio di nomadi di uno dei campi – quello di via dei Gordiani –  più chiacchierati e controversi della Capitale. Spranghe, pietre, bottiglie e chissà cos’altro in quel mare magnum di “monnezza” che è piovuto sui poliziotti per un tempo interminabile, con l’intento di evitare la cattura dei malfattori. E, più gli eroici agenti avanzavano, più l’assalto si infuocava.

MA NON HANNO VINTO LORO! 

I poliziotti hanno trovato la refurtiva e i responsabili di un furto in un appartamento romano. Proprio dei nomadi, guarda un po’!

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Non è la prima volta che scrivo dei nomadi delinquenti che vivono, senza controllo alcuno, su tutto il territorio Italiano. Rischio, ogni volta, l’accusa di razzismo, rigettandola ai mittenti. Ho avuto modo di lavorare, anni fa,  su un progetto dedicato ai bambini zingari, su richiesta di un caro amico monsignore, oggi vescovo, che vivevano nel campo non autorizzato vicino Ponte Milvio, a Roma. Ragazzini sveglissimi e molto creativi. Anche simpatici, direi. Seppur, ai primi incontri, molto guardinghi e chiusi come sepolcri. In quell’occasione, ho avuto modo di confrontarmi con loro, le loro famiglie, la loro comunità. Senza pregiudizi, mi avvicinai a quella “cultura”. Che non capii!!! Non mi capacitavo, per esempio,  come si potessero celebrare “matrimoni” fra bambini di 12 13 anni, che neanche si conoscevano. Oppure come potesse essere “naturale” farli lavorare, a sei sette anni,  fino alle due tre di notte, a vendere rose a piazza Navona. Non volevo accettare che non frequentassero una scuola. Destinati, com’erano, ad una vita ai margini del tempo e dei luoghi. Fuori del cammino della Storia dell’Umanità. Medievali al tempo dei viaggi su Marte. Una follia!

Li osservavo uscire dal sentiero spietato del progresso, del quale strappavano, qua e là, qualche frammento, utilizzandolo con interpretazione elementare. Quasi paleolitica. Come fare di un microchip, un orecchino… Peccato!

Ecco qual è il danno! Quale, il punto di scontro e di rottura. La mancanza di volontà di elevarsi, di crescere, di compartecipare e condividere. Una bulimia di autoreferenzialità ucciderà il popolo zingaro, relegandolo in un angolo, pur apparecchiato con ori e sete, anticamera della fine.

Le sassaiole in difesa di ladruncoli non finiranno. Non finirà il loro sospetto nei nostri, e il nostro nei loro, confronti. Non finirà lo scontro epocale. Perché l’Identità la rafforzano le radici. E le radici non sono trasportabili su roulotte. Senza radici, le regole si abbandonano ai giochi bizzarri del vento. Come le foglie morte…

E zingaro è parola Italiana

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