[photopress:vendola.jpg,thumb,alignleft]Ha abbracciato Giuliano Pisapia fra la gente arancione in piazza Duomo e ha esultato con lui perché il nuovo sindaco di Milano era il “suo” candidato, quello che alle primarie aveva sbaragliato l’architetto Boeri, l’uomo del Pd. Poi è salito sul palco e ha lanciato le sue parole d’ordine. Nichi Vendola, il populista rosso  di sinistra-sinistra, è arrivato dalla Puglia e ha messo il cappello coram populo sulla vittoria della sinistra.  Era scritto nell’ordine delle cose, dopo il primo turno disastroso per Letizia Moratti travolta dal naufragio elettorale del Pdl e della Lega che non ha riguardato solo Milano e Napoli, ma si è esteso da Nord a Sud come hanno ammesso esponenti di spicco dei due partiti di governo nel dibattito del dopo voto.  A conferma del valore politico del voto che va ben oltre ad analisi semplicistiche e auto-consolatorie sugli errori di comunicazione dei candidati sindaci. E se Berlusconi e Bossi sono costretti a confrontarsi sugli interrogativi aperti dal voto, che segna una brusca battuta d’arresto e obbliga a una ripartenza credibile dell’ azione di governo (che va avanti perché ha i numeri in Parlamento) e alla necessità di un diverso e più incisivo radicamento del Pdl sul territorio, la “narrazione” della vittoria di Pisapia (e di Zedda a Cagliari)  da parte di Vendola, apre una serie di riflesssioni per Bersani e il Partito democratico, che va oltre l’esultanza legittima per il successo elettorale.

Nel post precedente avevo sottilineato come, dopo il primo turno a Milano, Vendola avesse lanciato l’opa su Pd dicendo che l’Italia si era spostata a sinistra e pretendendo le primarie nazionali entro l’estate. Affermazione passata apparentemente sottotraccia. Nessuna replica dal Pd perché bisognava andare al ballottaggio senza polemiche e divisioni. Ma che pesava e pesa con un macigno sul futuro del centrosinistra. Come ha voluto dimostrare apertamente a Milano Nichi nel suo comizio dai toni populistici ,parlando di una Milano “espugnata” e gridando: “Ha vinto la città dei fratelli rom e di quelli musulmani… (l’avesse detto prima del ballottaggio forse Pisapia avrebbe avuto qualche problema…). Ma soprattutto ha gridato che “ha vinto la sinistra delle primarie”.

Così la doppia immagine di Vendola sul palco nel cuore di Milano e quella di Bersani che prima parla dalla sede del partito e poi in piazza a Roma marca lo spartiacque tra Sel e Pd ponendo un’ipoteca pesante legata alla leadership della sinistra antiberlusconiana e alle alleanze elettorali. Che ovviamente Vendola vuole marcatamente di sinistra, con se stesso nel ruolo di “candidato per sbaglio”, in grado di battere alle primarie quello del Pd. Certo Bersani si dice pronto a sfidarlo, ma intanto allunga i tempi: dall’estate all’autunno. Quella frase di Nichi (“vince un centrosinistra, quello delle primarie e del no alle oligarchie”) è un grido di battaglia che pesa e peserà nei prossimi mesi ed è guardato con attenzione e sospetto anche da parte dei cattolici del Pd, oltre che dalle altre opposizione (da Casini a Rutelli a quel che resta del Fli).  A Vendola si aggiunge anche Tonino Di Pietro che esulta per De Magistris (anche se l’Idv ha perso in questa tornata elettorale il 40% dei consensi).

I due insomma fanno pesare la spada di Brenno sul Pd. E continueranno la loro personale campagna elettorale facendo di tutto per mandare all’aria il progetto di governo di larga maggioranza a cui pensa Bersani, un governo di transizione a cui lavora da tempo D’Alema in amorosi sensi con l’Udc che corteggia da tempo o l’altro progetto di “governo di decantazione” caldeggiato da Veltroni nettamente contrario a una riedizione dell’Unione.

Bersani intanto si è presentato sul palco di Roma con a fianco Romano Prodi… vengono in mente i loro rapporti con il “parolaio rosso” Bertinotti, sostituito stavolta dal “populista rosso”, Vendola. A sinistra ritorna l’eterno scontro tra riformisti e massimalisti, diciamolo pure.