Per i moderati e i riformatori è suonata la campana dell’ultimo giro prima delle elezioni politiche. Campana che suona in diverse direzioni. La decisione di Silvio Berlusconi di fare un passo indietro e l’appello che ha rivolto a “tutti i moderati, che rappresentano la maggioranza degli italiani, e non si riconoscono nella sinistra guidata dalla Cgil e da Vendola: dall’ Udc a Italia Futura di Montezemolo, Vittorio Sgarbi, Tremonti fino alla Lega” riapre i giochi politici nel campo del centrodestra e in quello del centrosinistra. E il Cavaliere, nell’annunciare la sua mossa, ricorda – intervistato da Maurizio Belpietro a Mattino Cinque –  che la sua è una linea “assolutamente coerente con tutto ciò che è stato fatto da quando nel’94 decisi di lasciare il mestiere di imprenditore e mi misi a servizio del paese. Anche allora c’era l’ipotesi che l’Italia potesse essere consegnata ad una sinistra post-comunista. Io iniziai a mettere insieme tutti i moderati”. Poi il Cav aggiunge: “Non escluderei Mario Monti come leader del raggruppamento dei moderati…”.
Una mossa, quella di Berlusconi, che mette la palla al centro della frammentata galassia centrista che un giorno si aggrega (a parole) e il giorno si rompe di nuovo in una sorta di gioco degli specchi inconcludente e stancante (per gli elettori moderati) che non porta a nulla di concreto. Galassia centrista unita sotto lo slogan “Monti e con l’agenda Monti” che vuol dire tutto niente e per ora pare un solo un ombrello protettivo aperto in attesa degli eventi. Ora un evento si è palesato e i “piccoli re” centristi senza popolo (da Casini a Montezemolo all’area finiana fino alla Lega 2.0 di Maroni), se non vogliono correre il rischio di restare nudi devono fare meno di mosse tattiche incocludenti e decidere da che parte stare, visto che se l’ostacolo al rassemblement si chiama Berlusconi,  ebbene questo ostacolo è stato rimosso.
E la campana suona anche per il versante opposto, il centrosinistra, nel quale è in corso un micidiale doppio scontro: quello delle primarie fra Renzi e Bersani e quello interno al Pd fra l’ala filo-Monti liberal e riformista e l’ala che vuol rottamare l’agenda Monti e il montiamo che fa capo alla vasta componente neo-massimalista che si allunga da Fassina fino alla Cgil targata Camusso che da tempo condiziona le scelte del partito e del segretario, mettendo in grande difficoltà l’area degli ex Dc – ex Popolari confluiti in un piddì sempre più “rosso” come ha ammesso Rosi Bindi (mai voce più esatta fuggì dal senno…). L’ultima puntata è lo scontro durissimo tra Fassina che vuo, rottamare Monti e quel che Monti ha fatto con l’appoggio del Pd ed Enrico Letta che definisce “inaccettabile” questa posizione. Che è “unfit” anche per Matteo Renzi, al centro di un feroce fuoco di fila “amico” che rasenta la scomunica non solo perché vuol rottamare i dinosauri piddini ma soprattutto perché guarda al centro e alle riforme con occhi non ideologici e sogna un centrosinistra che abbia una visione politica più aperta rispetto al “rito” politico di scuola ex Pci. A questo va aggiunta l’opa di Nichi Vendola sul Pd anti-montiano e sulla futura coalizione che peserà come un macigno sul dopo primarie e sulle alleanze sia se Renzi vincerà la partita, sia se la vincerà Bersani che con Vendola e decisissimo ad allearsi. Facendo aleggiare il fantasma dell’Unione.
Per i leader e leaderini moderati e centristi non è più tempi di alibi e di rinvii, ma di scelte.
Fa bene Berlusconi ad aprire a Casini, Montezemolo e Fini?

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