Ieri sera dagli studi di Piazzapulita su La7 il gemello figo di Renzi, il finanziere della City Davide Serra, tentava di convincerci, invero con piacevole eloquio, che in caso di vittoria del Sì al referendum l’Italia  diventerebbe meta privilegiata di consistenti investimenti finanziari. «Il capitale estero guarda con apprensione al processo delle riforme», queste le sue parole. Il “Capitale” estero non vede l’ora di sbarcare nel nostro Paese, dunque.
Benissimo. Ne siamo lieti e se lo dice lui che, come il nostro premier, ha un glorioso passato da boy scout, perché non credergli? Parola di lupetto!

La battuta qua ci starebbe tutta: da lupetto a “lupo di Wall street“. Ma andiamo per ordine: chi è Davide Serra.

E’ un operatore finanziario, fondatore e amministratore delegato dell’ hedge fund Algebris, cioè un fondo speculativo di investimento privato con sede a Londra, dove Serra vive dal 1995 e dove ha lavorato anche per UBS (banca privata e d’investimento) e per Morgan Stanley (una delle più grandi banche d’affari del mondo con sede a New York), della quale è diventato direttore generale e coordinatore della ricerca globale sulla finanza.
Ma Davide Serra è anche il principale finanziatore di tutte le campagne elettorali di Matteo Renzi. Già dalle primarie del 2012, che come sappiamo non furono vincenti per Renzi, il finanziere/ finanziatore aveva intuito le grandi potenzialità del nostro e infatti ha continuato strenuamente a sostenerlo, ha partecipato in veste di appaluditissimo guest star a tutte le Leopolde e chiaramente lo sta sostenendo e sponsorizzando anche in questa campagna referendaria. Del resto cos’è la Leopolda se non quel posto dove imprenditori con sede legale a Londra, sede fiscale alle Cayman e residenza in Svizzera discutono su come “salvare” l’Italia?

Parlavamo di investimenti finanziari.

Orbene, che cosa intende Serra per investimenti finanziari? Lui stesso ieri sera ha detto di aver investito, non tramite il suo fondo ma con i suoi personali risparmi, in diverse start up italiane. Ecco, già questo termine “start up“, molto in voga di questi tempi, mi suscita delle perplessità: viviamo negli anni dell’inglesizzazione lessicale, della globalizzazione terminologica, oltre che economica. Tanto per confondere un po’ le idee. Ma queste nuove formule “start up“, “sharing economy“, “gig economy“, “on demand economy“, poi, esattamente e concretamente, che tipo di mercato del lavoro vanno a creare?

Promuovono un modello di precarizzazione totale del lavoro, dove non esistono dipendenti (e diritti) ma offerta di prestazioni lavorative quando c’è richiesta: vanno quindi ad ingrossare le fila dei lavoratori super sfruttati pagati con i voucher. Dei fattorini in bici che guadagnano 2.50 a consegna. Dei tirocinanti di Garanzia Giovani a 400 euro lordi al mese. Del resto, Davide Serra ha sempre magnificato le magnifiche e progressive sorti del Jobs Act renziano. I cui effetti sono sotto gli occhi di tutti: quanto può essere “affidabile” un dato occupazionale che ricomprende al suo interno tra gli “occupati” anche dei lavoratori occasionali retribuiti un’ora (vale a dire 7,50 euro netti) a settimana?

Ma si sa, il mercato viene prima di tutto e chi se ne frega di questi sfigati che a quarant’ anni sono precari e sottopagati.

Un’ultima chicca:
Prima di lasciare il Quirinale, Giorgio Napolitano ha conferito a Davide Serra il prestigioso riconoscimento di “Commendatore dell’ordine al merito della Repubblica italiana”. Motivazione:
“Per essersi impegnato nella promozione dell’Italia come meta di investimenti finanziari”.
E con questo, è davvero tutto.