«Si renda dunque a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio».

Ad ognuno il suo ruolo. Questa frase attribuita a Gesù Cristo nei Vangeli sinottici getta così le basi della divisione tra potere spirituale e potere temporale.

È vero che, secondo le Scritture, il potere esercitato sulla terra viene da Dio ma come scrive nel Nuovo Testamento l’Apostolo Paolo a proposito della situazione dei cristiani nell’Impero “occorre prestare obbedienza leale alle autorità dello Stato” (cf. Rm 13,1-7; Tt 3,1-2). Cosa significa questo? Che lo Stato, inteso come autorità politica, è assolutamente necessario per la vita della polis e dei credenti in essa. La città abitata dagli uomini e dalle donne necessita di ordine, di legalità, di giustizia, e dunque la politica non può essere ignorata, né si può vivere in società senza un’autorità cui rispondere. Ma l’autorita politica, legislativa e giuridica è ben distinta, nell’ insegnamento e nella testimonianza di Gesù, da quella spirituale. Gesù ha rifiutato di essere un Messia politico (cf. Mt 4,8-10), non ha accettato di essere fatto re (cf. Gv 6,14-15) ). Egli è Re – come dirà a Pilato – ma non di questo mondo (cf. Gv 18,36)! Dare a Cesare ciò che è di Cesare, allora, significa riconoscerne l’autorità laica e tenere conto di essa. Nella storia della Chiesa Cattolica Romana questi precetti non sono sempre stati seguiti, basti pensare al periodo storico in cui il Papa, oltre ad essere Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica, è stato anche sovrano dello Stato Pontificio (752-1870).
Jorge Mario Bergoglio dovrebbe essere a conoscenza che il potere temporale dei papi è cessato nel 1870 e che comunque era circoscritto entro i confini dello Stato della Chiesa. O forse no, vista la sua predisposizione ad intervenire con prese di posizione nette e apodittiche su questioni di geopolitica internazionale, di mercato interno del lavoro e di sicurezza nazionale con la sua visione pauperistica e immigrazionista/terzomondista che poco attendono al governo spirituale e molto a quello terreno.
L’ultima in ordine di tempo è un’anticipazione del messaggio che invierà in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 14 gennaio, dal tema “cogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”. Perché abbia deciso di diffonderla con cinque mesi di anticipo non è dato sapere. A essere maliziosi si potrebbe pensare che tra poco riaprono i lavori del parlamento, e quindi riprenderà la discussione anche sullo ius soli, con tempi stretti . Ma noi non siamo maliziosi, ci chiediamo però l’utilità della Giornata del Migrante…Ma questo è un altro discorso.

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In ogni modo, Bergoglio spiega come «nel rispetto del diritto universale a una nazionalità questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita».
Un vero e proprio endorsement in favore dello Ius Soli, e questo non stupisce. Stupisce invece che il Pontefice non sappia che i bambini al momento della nascita hanno già una nazionalità che è quella dei genitori. E davvero non si capisce perché la nazionalità francese, finlandese, nigeriana, congolese, marocchina, albanese, rumena o australiana debba essere considerata “inferiore” a quella italiana. Questo, invero, andrebbe chiesto anche ai nostri parlamentari che con tanta  veemenza sostengono lo ius soli.

In ogni caso, sarà italiano il bambino che rischi di non vedersi attribuita alcuna cittadinanza alla nascita, ad esempio perché i genitori sono privi di alcuna cittadinanza (apolidi) ovvero sono cittadini di Stati che non consentono al figlio nato all’estero di acquistare la cittadinanza italiana (cfr. art. 1, comma 1, lett. b), legge n. 91/1992). Ancora sono italiani alla nascita i bambini trovati in Italia i cui genitori siano sconosciuti (art. 1, comma 1, lett. c), legge n. 91/1992). Dunque non si preoccupi Bergoglio che nessun bambino verrà lasciato senza nazionalità dallo Stato italiano.
A meno che il Papa non stesse parlando di concedere a tutti la cittadinanza dello Stato della Città del Vaticano che, ricordiamolo, è una monarchia assoluta teocratica elettiva, circondato dalle alte mura leonine e di cui è praticamente impossibile ottenere lo status di cittadino.
Ma il passaggio, a modesto parere di chi scrive, più inquietante del messaggio del Sommo Pontefice non è il discorso, seppur fuorviante, sulla nazionalità. Ecco cosa ha dichiarato sul lavoro e i “diritti”: «Le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, se opportunamente riconosciute e valorizzate, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono. Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione».
Il Papa parla di “risorse” come la Boldrini e di WI -FI come un Bello Figo qualunque. E di lavoro che per gli italiani e i cittadini stranieri regolari non c’è, a prescindere da competenze, meriti, valorizzazione e riconoscimento.

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