Mentre l’emergenza immigrazione spacca in due l’Unione Europea, con una parte di essa che chiede collaborazione fra gli stati affinché si condivida il peso dell’ accoglienza dei migranti e l’altra – quella dei muri – che non vuole farsi carico dei flussi e pretende lo stop al metodo obbligatorio per la ricollocazione dei richiedenti asilo, un altro dramma si sta concretizzando a pochi kilometri dalle nostre coste.

Sembrano storie appartenenti secolo scorso, eppure in Libia, dove regna il caos, da più di un anno vengono venduti all’asta giovani neri per qualche centinaia di euro. Braccia forti per lavorare nei campi, nelle case ed essere venduti come schiavi al migliore offerente.
«Non solo violenze, detenzioni e abusi ma anche l’asta al mercato degli schiavi a Tripoli» afferma Vincenzo Sanasi D’Arpe, Presidente del World Food Programme Italia. «È qualcosa di inaudito che ci deve fare riflettere sulle conseguenze create da queste migrazioni e dalle attività criminali ai danni dei migranti. In occasione del vertice Unione Africana Unione Europea che è tenuto il 29 e 30 novembre ad Abidjan in Costa d’Avorio – ha sottolineato Sanasi D’Arpe – ci si concentrati  sull’emergenza, in particolare modo in Libia, relativa anche alle condizioni in cui viaggiano e vivono i migranti rifugiati».

Sanasi D'Arpe, presidente World Food Programme

Vincenzo Sanasi D’Arpe, presidente World Food Programme Italia

Secondo lei, in questi anni, l’Ue è intervenuta in maniera efficace sulla questione dei migranti?
«Sono convinto che l’integrazione e gli aiuti umanitari siano la strada da seguire da parte della Comunità Internazionale, con sempre maggiore determinazione. Penso al dibattito e ai concetti emersi durante la presentazione di ‘At the root of Exodus: Food Security, conflict and International Migration’ al Ministero degli Affari Esteri del’11 ottobre scorso sull’eccezionale valenza strategica per l’Europa degli aiuti portati ai Paesi africani sul loro territorio, non solo in termini di aiuti alimentari ma anche di scolarizzazione e formazione professionale»

Cosa può fare la Comunità Internazionale per fermare i traffici illeciti e questa nuova emergenza schiavitù? 
«La schiavitù è un crimine difronte al quale nessun essere umano deve restare indifferente. È necessario intervenire per costruire alleanze volte a generare società più giuste e prospere in funzione non solo del progresso ma anche della solidarietà tra Paesi. E mi riferisco agli ‘Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite’ riguardo al debellare la fame, proteggere i più deboli e garantire loro l’accesso ai servizi fondamentali. È quindi importante investire nella scolarizzazione e nelle infrastrutture per migliorare la vita delle comunità, soprattutto di quelle più svantaggiate. Leggi e programmi dei Paesi devono assicurare diritti e protezione a tutti, in egual misura. Detto questo, è vero che il compito più arduo e faticoso spetta ai governi, alle istituzioni e agli enti preposti ma è fondamentale la collaborazione di tutti i cittadini affinché si costruisca un mondo con maggiori diritti e tutele».

Sulla stessa linea il Presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni che, in accordo con la Cancelliera Merkel, sostiene il principio secondo cui chi fugge da una guerra, da una dittatura, da una persecuzione, da una catastrofe, deve trovare asilo in Europa. Costi quel che costi. E punta il dito contro i Paesi dell’ Est uniti dal patto di Visegrad – Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia – che chiedono invece di rafforzare le frontiere esterne mettondo sul banco degli imputati il sistema di ricollocamento per quote, così come sostiene anche il neo premier austriaco Sebastian Kurz, che proprio in questi giorni ha formato il nuovo governo affidando ministeri cruciali come Interni, Difesa ed Esteri all’ultradestra anti-immigrati del Fpö.

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