Mala tempora currunt… Eh sì, i mercati hanno inaugurato una nuova stagione di ribassi, e tutto pare sgretolarsi sotto i venti della “nuova” crisi.

Risparmiatori disorientati, che giustamente temono per i loro sudati risparmi, frutto di una vita di lavoro e sacrifici. Timidamente, alcuni investitori si avvicinano ai consulenti finanziari indipendenti, investitori stanchi e spesso disgustati (e a ragione…) dei soliti “consigli” della banca.

E pensare che la professione dei consulenti finanziari indipendenti è stata normata dalla MIFID ormai due lustri fa, recepita in tutti i paesi europei in modo adeguato, mentre qui da noi si è vissuto un vuoto normativo decennale e scandaloso, al quale solo di recente è stato posto rimedio. Ci sono volute due crisi (quella di agosto 2015 e di gennaio 2016) per spingere il Governo a fare, finalmente, qualcosa di intelligente, approvando la piena regolamentazione della professione e con l’istituzione dell’Albo Professionale, elevando i consulenti finanziari indipendenti (da oscuro “Azzeccagarbugli”…) alla pari dignità con altri Ordini professionali come l’avvocato o il commercialista.

Consulenti finanziari indipendenti: la resistenza delle banche

Vale la pena sottolineare la strenua resistenza delle banche e del mondo assicurativo a questa legge sui consulenti finanziari indipendenti, un ostracismo che spiega il decennale vuoto normativo cui si è accennato prima. Le banche hanno paura poiché non desiderano che i risparmiatori ragionino con la propria testa e detestano il fatto che un investitore possa mantenere il pieno controllo del suo patrimonio. Il risparmiatore consapevole è una maledizione per la banca: non comprerà più tutto ciò che viene propinato per mere esigenze di budget commerciale, ma farà attenta selezione dei prodotti “consigliati”, facendo perdere una montagna di lautissime commissioni (per altro percepite senza offrire nessun servizio di valore aggiunto…) all’industria del c.d. risparmio gestito che essendo tutto di matrice ed emanazione bancaria incide ovviamente sui conti economici degli intermediari.

L’offensiva, ovviamente, è partita di gran carriera, perché la perniciosa attività della Consulenza Indipendente va ostacolata in tutti i modi, visto che ormai fermarla non è più possibile.

Ed ecco allora, per la prima volta nella storia bancaria, un florilegio di operazioni di puro marketing e maquillage, a suon di convegni ed eventi patinati, con proposte di innovativi modelli di gestione basati su modelli quantitativi, un mare di pubblicità sui giornali…

Tanto fumo per disorientare i risparmiatori che, alla fine, troveranno nei loro portafogli sempre le solite scatole cinesi di polizze, gestioni di gestioni di fondi, obbligazioni della “casa” e via di seguito, come dimostrano i recenti tentativi (toccati con mano di persona…) di far smobilizzare portafogli in regime amministrato in perfetto equilibrio per passare al regime gestito a mezzo di prodotti adatti solo a “blindare” il cliente con costi e penali in caso di uscita prima di quattro anni; prodotti opachi dove l’investitore perde letteralmente contezza di cosa ha in portafoglio. Perdendo così il controllo sul proprio patrimonio.

Ma ora, con il recente intervento legislativo, finalmente, il risparmiatore prenderà coscienza piena di questa “nuova” professionalità che al pari degli altri professionisti, ognuno nel suo campo specifico, è in grado di seguire il cliente sotto il profilo giuridico, fiscale e finanziario.

Consulenti finanziari indipendenti: costi in chiaro

Tuttavia, un altro ostacolo è potenzialmente pronto a pararsi dinnanzi allo sviluppo e all’affermazione della professione dei consulenti finanziari indipendenti. Questo, ovviamente, sempre a causa dell’ostruzionismo degli intermediari finanziari, che evitano accuratamente di “educare” finanziariamente i propri clienti.

Infatti, il grosso ostacolo (puramente di percezione, non di sostanza…) è quello legati ai costi. Certo, poiché la parcella dei consulenti finanziari indipendenti si vede, perché esplicita, mentre la maggior parte dei costi legati a gestioni e polizze è occulta e prelevata alla fonte.

Ed è quindi normale e comprensibile che il risparmiatore, avvicinandosi ai consulenti finanziari indipendenti, si ponga il problema del “ma quanto mi costa?”

Ma la stessa domanda dovrebbe porsela anche quando valuta o segue i “consigli” della banca, perché di una cosa sola siamo tutti certi: pasti gratis non ce ne sono.

Consulenti finanziari indipendenti: quanto vale il responso di un luminare della medicina ?

Ed ecco quindi che il binomio “quanto costa – quanto rende” può diventare una barriera all’ingresso per molti potenziali clienti che possono avere difficoltà a percepire il vero valore di un servizio di consulenza finanziaria indipendente e assolutamente privo di conflitti di interesse.

Quanto può valere una consulenza finanziaria che, ad esempio, tra giugno 2007 e marzo 2009 –  con le Borse mondiali che perdevano metà del proprio valore – avesse consigliato il disinvestimento dei titoli in favore della liquidità, evitando una perdita del 70% sull’investimento?

Quanto può valere una consulenza finanziaria indipendente che abbia fornito indicazioni su come allocare il patrimonio, ad esempio, a novembre 2011 quando l’Italia pareva essere ad un passo dal default?

E quanto può valere una consulenza finanziaria che permetta di non avere in portafoglio azioni o investimenti che hanno continuato a scendere senza sosta, facendo ottenere ai propri clienti rendimenti decisamente superiori rispetto a quelli ottenuti dal mercato, e soprattutto con minor rischio?

In estrema sintesi sono queste le domande che permettono di apprezzare il vero valore della consulenza finanziaria indipendente, comprendendo il significato di una parcella “in chiaro”, per parafrasare la defunta e ridicola iniziativa “Patti Chiari” ideata dall’ABI dopo lo scandalo dei bond Lehman Brothers di cui erano farcite tutte le polizze assicurative.

Fornire una vera consulenza finanziaria attiva non significa seguire logiche di budget, ma significa avere una vera esperienza in materia da molti anni, metodologie operative collaudate e assenza di conflitti d’interesse. Qualità che in Italia è molto difficile trovare e che spesso non va al di là dell’etichetta “advice” che tanto piace al marketing degli intermediari.

Lasciare i clienti “a bagno”, come fanno tanti, è il modo migliore e per nulla dispendioso per tenerli legati a sé; di converso, suggerire di vendere titoli (seppur talvolta in perdita), cambiare con flessibilità l’approccio ai mercati, saper impostare degli asset di portafoglio in grado di proteggere il patrimonio da eventi esogeni, significa dedicare tempo ed energie ai clienti, cercare e proporre loro soluzioni, individuare e controllare i rischi finanziari, perseguendo come unico obiettivo il loro interesse.

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