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Vi sono uomini che muoiono meno di altri. Perchè hanno vissuto più di altri. È il caso di Johnny Hallyday, l’anima del rock francese. Tutta la Francia lo piange. A ragione. La sua vicenda artistica e personale si confonde e s’intreccia con la storia stessa, in versione V° République, della Nazione: a 20 anni, nei mitici sixties, Johnny fu l’idolo dei giovani, poi giocò a fare il motociclista on the road e tante altre parti per trasformarsi, infine, in un padre di famiglia atipico quanto serio. La sua vita spericolata (altro che Vasco…) fu un susseguirsi di mode fuggevoli, mille passioni (tra tutte la splendida Vartan), decine di film e centinaia di canzoni. Una lunga ventura incastonata tra due amori. Il rock e la Francia, la Patria. La terra dei Padri.
Orgogliosamente gollista, amico di Le Pen senior ma sostenitore di Chirac e Sarkozy, Johnny era a suo modo “destroso” e se ne fotteva del politicamente corretto. Il suo pubblico, gente d’ogni età e classe sociale, lo adorava anche per questo.
Dopo gli attentati di Parigi e Nizza, già malato, decise di tornare sui palchi. Apriva i suoi concerti sventolando il tricolore francese in onore delle vittime del terrorismo fondamentalista. E, ogni volta, puntualmente, le sale — stracolme di gente vera e orgogliosa — intonavano con fierezza la Marsigliese. Johnny si metteva sull’attenti. Felice e commosso. La prima volta fu a Parigi-Bercy, il 28 novembre 2015. Tredici giorni dopo la mattanza del Bataclan.

Sulla Patria e il rock Hallyday non ha mai scherzato. Merci Johnny et bon voyage.

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