C’era una volta il gollismo, il rutilante totem francese eretto da Charles de Gaulle nel immediato dopoguerra sulle macerie della sconfitta del ’40 e le tante bugie sulla finta vittoria del ‘45. Un capolavoro politico degno di Macchiavelli. Per 70 e più anni la creatura dell’arcigno quanto geniale fondatore ha troneggiato e ingombrato la scena politica gallica. Con alterne fortune, certo. Nel 1947 la prima presidenza gollista fu soffocata nella culla dai maneggioni della Quarta repubblica, poi la fondazione del Rassemblement du Peuple Française e una sofferta “traversata nel deserto” conclusasi con il trionfale ritorno, nel maggio 1958, del generale all’Eliseo. Fu la Quinta repubblica e la lunga presidenza del vecchio Charles. Una monarchia repubblicana sotto i colori dell’Union pour une Nouvelle Répubblique.

Il gollismo storico fu un’esperienza complessa con tante luci — la “grandeur” ritrovata, la ripresa economica intrecciata ad una politica sovranista: “una certa idea della Francia”, con l’uscita dal comando Nato, la creazione di forza nucleare e una distanza marcata da Washington— e molte ombre — tra tutte la tragedia d’Algeria e la feroce epurazione dei quadri militari ma anche le trame dei tanti cacicchi —. Poi la crisi del maggio ’68. Barricate, bottiglie molotov, flics su boulevards. “Le roy Charles” traballò ma, saldati i conti con le forze armate (l’incontro-lampo a Baden-Baden con Massu…), il fidato Malraux portò un milione e più di anticomunisti sugli Champs. Fine della ricreazione gauchiste. Una parentesi. L’anno dopo i baroni gollisti, stufi del loro mercuriale leader, tradirono senza vergogna. Nella notte del 28 aprile 1969, dopo un referendum perso sul filo di lana, de Gaulle diede le dimissioni. 18 mesi dopo, sdegnato e offeso, morì dopo nella sua casa di campagna. Non volle funerali di Stato. Non voleva eredi. Aveva ragione.

Eppure il gollismo non scomparve. Si trasformò. Annaquandosi. Sbiadendo. Via via, con le presidenze di Georges Pompidou e Jacques Chirac si archiviarono i programmi sociali del generale e, soprattutto, la sua idea-forza di un’entità confederale continentale, l’Europa delle Nazioni. Inesorabilmente il neo gollismo, dimentico delle sue radici sovraniste e (parzialmente) anticapitaliste, si allineò sempre più alle tesi liberali, iper europeiste e globaliste. Da qui una girandola di sigle, più o meno felici: nel 1976 Chirac lanciò il Rassemblement pour la Répubblique, nel 2002 un’ulteriore svolta conservatrice con la creazione dell’Union pour un Mouvement Populaire e, dopo la disastrosa meteora Sarkozy (oggi sotto processo per corruzione), nel 2015 gli esausti successori s’inventarono Les Républicains (LR). Poi la catastrofe delle presidenziali 2017 con il crollo rovinoso di Fillon, il vecchio notabile, l’avvento della “Macronie” e le ultime europee. Il capolinea.

Torniamo all’oggi. Il verdetto delle urne è stato impietoso. Persino crudele. L’antica forza maggioritaria — il “partito del popolo e della Nazione” — è ridotta all’8,48 per cento (1.920.407 voti); intanto Macron ha raccolto il 22,42 (5.076.363 voti) e, soprattutto Marine Le Pen, è volata al 23,31 (5.286.939 voti) confermandosi primo partito. Unica, mesta consolazione per le truppe del lunare Laurent Wauquiez, il già ghigliottinato presidente dei Rèpublicans, il tonfo al 6,19 per cento dei rivali socialisti.

Uno tsnunami per i neo o post gollisti, ormai ad una specie in estinzione, ma anche uno choc per l’intera nomenklatura francese che a distanza di settimane — si scorrano i giornali e le riviste parigine — non riesce ancora a capacitarsi del radicale cambio di scenario. L’evaporazione di LR lascia infatti spazio ad un nuovo e inatteso bipolarismo Macron-Le Pen, scenario perfetto per ambedue i contendenti. Riprendendo le lezioni di cinismo mitterandiane, per l’attuale inquilino dell’Eliseo la bionda signora è il “nemico perfetto”, un’assicurazione (forse) per la sua rielezione a “presidente a vita”. Il circo mediatico è già pronto per un’ulteriore crociata contro la “peste bruna” e altre sciocchezze, ma a scanso d’equivoci e rischi il marito di Brigitte ha avviato una potente campagna acquisti sul fronte post gollista con un’imprevista virata “legge e ordine”, Patria, esercito e magari (per i transfughi di Wauquiez) seggi elettorali certi….. Una mossa che ha inquietato non poco il segmento sinistroso della compagine macroniana (Didier Guillaume, il ministro dell’Agricoltura, tra tutti) e molto divertito i lepenisti.

Già i lepenisti. Gli eterni perdenti. I reietti votati dalla Francia profonda ma rifiutati dalle metropoli. Eppure, eppure qualcosa anche quì sta cambiando. Non è un opinione personale. Su “Le Figaro”, storico foglio conservatore e sempre molto avaro con i nazionalisti, si è aperto un aspro dibattito sul destino del LR offrendo (per una volta) voce e presenza al RN. Autorevoli analisti, commentari austeri e rompiscatole assortiti — cosa inimmaginabile sino allo scorso maggio— da settimane si scontrano e s’incontrano sull’incontro possibile — auspicabile per alcuni, pessimo per altri — tra Marine e gli orfani di de Gaulle. E non si tratta di una discussione accademica. Le elezioni comunali e regionali sono alle porte e mezza Francia dovrà scegliere il proprio sindaco, il proprio presidente. A gauche ou a droite? Con il potere o l’opposizione? Con Marine o Emmanuel?

Per la figlia di Jean Marie, il “menhir“ — a proposito, sembra che i due si siano riconciliati, bene così … — le cose sono semplici, chiare. Nessuna unità a destra: solo la Francia. Destra e sinistra sono residui ideologici del secolo scorso, categorie obsolete, inutili. «Fantocci imposti dai globalisti, dai mondialisti». Del resto, lo diceva nel 1946 già de Gaulle. Dunque alcun “inciucio” con i notabili ma «braccia aperte a tutti i quadri e agli elettori di LR, l’alternativa a Macron è possibile». E ancora, alle municipali un appello: «voi avete le vostre specificità, noi le nostre. Possiamo ritrovarci e vincere». Per l’occasione Marion Le Pen, la terribile nipotina, è uscita dal suo silenzio e vede nel funerale dei gollisti un “chance historique”. A conferma del ragionamento l’adesione al partito della Fiamma di due post gollisti di peso: Thierry Mariani, ex ministro di Sarkozy, e il deputato Jean-Paul Garraud. Sono loro i registi del progetto d’annessione frontista: dai territori, dai comuni, dalla periferia. Riprendendo Mao, le campagne contro le città.

Conclusione provvisoria. Sono solo rulli di tamburi, velleità? Ancora i soliti miraggi? O vi è qualcosa di più serio e, finalmente, si delinea in Francia una prospettiva vincente per i sovranisti? Vedremo. Per il Franz Giesbert, direttore di “Le Point” — rivista per nulla simpatizzante con il RN — Marine Le Pen questa volta ha scosso in profondità la società francese e — finalmente libera dal marginalismo ultradestroso — si è affermata come leader credibile, spendibile e — dato per lui imprevedibile ma non più scandaloso… — perfettamente votabile da tutti i francesi. «Depuis les elections, madame Le Pen est présidentiable». Bonjour.

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