Lo ammetto, ero perplessa. Una settimana a bordo di una nave (seppur elegante, seppur iconica) per un’esperienza oceanica coast to coast, da Southampton a New York, senza mai toccare terra, non era in cima alla mia wish list. È un’opportunità da non sprecare, mi raccontava chi l’aveva vissuta. Sarà un lento scivolare in un’atmosfera d’antan, fra balli, cene di gala, spettacoli, come in ogni nave da crociera, solo con un contorno più sofisticato, immaginavo io. Poi l’idea, inizialmente insopportabile, di rimanere disconnessa per sette giorni (a bordo il wi-fi c’è ma funziona via satellite, quindi è caro e lento), ha cominciato a delinearsi come un’opportunità. Una settimana digital detox nel bel mezzo dell’Atlantico, fra i lussi british style della Queen Mary 2, gioiello della flotta Cunard e sorella della leggendaria e lussuosissima Queen Mary che quasi un secolo fa navigava fra Inghilterra e Stati Uniti con il suo variegato carico di umanità e una dose notevole di star? Perché no.

La giornata a bordo
“Perché sei qui?”, mi chiede una passeggera italiana incontrata a bordo. “Per capire cosa si prova a stare una settimana in mezzo a un nulla liquido e ondoso, senza internet, senza scali, senza niente all’orizzonte tranne l’infinita e irraggiungibile linea di demarcazione fra acqua e cielo”, le rispondo. “Io sono alla ventesima crociera su una nave Cunard”, continua lei. “Vuoi sapere cosa piace a me? La sensazione di essere parte di una grande famiglia. L’assenza di connessione (digitale) fa sì che le persone si connettano fra di loro. Nascono grandi amicizie globali in mezzo all’oceano“. Sì, ma dopo venti crociere e chissà quanti amici, non viene voglia di cambiare? “Dipende”, mi spiega convinta. “Qui sei su un’isola felice, pensi che non accada nulla, invece ogni giornata è un condensato di esperienze umane, poetiche, emotive, senza contare gli appeal artistici e gastronomici”. Tutto vero. Puoi rilassarti o fare jogging sul deck in legno guardando l’Atlantico (tre giri corrispondono a un miglio), andare a un corso di ballo (ma anche di recitazione o di scherma…), ascoltare un concerto di musica classica, una performance lirica, una suonatrice d’arpa. Puoi guardare un film in una sala cinematografica con poltrone in velluto dallo charme Belle Époque, sorseggiare il tè pomeridiano con torte e finger sandwich, degustare le migliori cucine del mondo (o iscriverti a un wine testing) con sottofondo live di musica jazz, quindi regalarti un massaggio nella Spa in attesa del cocktail party serale. A ogni ora c’è una performance, compresi gli show nel planetario, il più grande mai realizzato su una nave, e le conferenze di scrittori, scienziati, astronauti, che incantano gli ospiti distillando pillole di conoscenza. Ogni traversata ha un tema, a me era capitata la Settimana dello spazio. Grazie astronauti, grazie Cunard che li hai invitati. Grazie luna che con il tuo chiarore pennelli d’argento le onde, portandomi lentamente (e dolcemente) verso il Nuovo Mondo.

L’arrivo a New York
In certi luoghi bisognerebbe arrivarci via mare, diceva Tiziano Terzani. Ho sempre creduto che avesse ragione. L’avevo sperimentato anni fa a Venezia e a Istanbul, adesso è lo skyline di New York quello che si delinea oltre la prua: passi sotto il Ponte di Verrazzano, così vicino che ti sembra di poterlo toccare con un dito, vedi la punta di Manhattan, la Statua della Libertà, le case in mattoni di Brooklyn, e capisci che quell’immagine forte, magica, poetica, ha ancora lo stesso potere ammaliatore raccontato nei libri e nei film. “Vorrei navigare ancora, senza fine, per sempre, senza mai toccare terra”, scriveva per esempio l’autore americano Nathaniel Hawthorne. Altri cunarders famosi come Winston Churchill o il poeta, due volte premio Pulitzer, Carl Sandburg, declamavano l’incanto delle onde, e dalla Batavia, storico transatlantico Cunard in servizio nella seconda metà dell’Ottocento, Mark Twain descriveva, ammirato, le montagne d’acqua che scolpivano l’orizzonte. Charles Dickens narrava invece di un oceano e un cielo uniformi, “senza possibilità di prospettiva… dove l’orizzonte è ovunque e ti avvolge come un’immensa coperta”.

Incontri (e fatti) da ricordare
Le Altre cose che mi hanno colpito durante la traversata sono puramente personali: una conversazione con Aureliano Mazzella, giovane e talentuoso vicecomandante italiano su un transatlantico dove batte bandiera inglese: “la vera destinazione qui è la nave, con i suoi lussi e il più alto spazio pro capite per passeggero, per consentire di apprezzare al meglio la vita a bordo (infatti non ci sono mai file)”, mi spiegava convinto. Ma anche le battute di Klaus Kremer, Executive chef che da 14 anni dirige le 10 cucine della Queen Mary 2 insieme a una brigata di 220 persone, di cui 150 chef: “visto che abbiamo passeggeri da tutto il mondo, ho puntato su una cucina internazionale leggera e contemporanea, salutare, a bassa cottura. Gli unici che si lamentano sono i miei connazionali tedeschi, che vorrebbero più sale”, scherza divertito. Infine, al quarto giorno di navigazione, il comandante annuncia che alle 11 di sera si navigherà nel punto esatto in cui è naufragato il Titanic. Un pizzico di brivido, ma quelli erano altri tempi, la preistoria, o quasi, della traversata. Chiedo un po’ in giro e vengo a sapere che la Queen Mary 2, progettata proprio per la traversata atlantica che effettua, non a caso, diversi mesi all’anno, ha più pescaggio di qualunque nave da crociera, un maggiore numero di stabilizzatori, una tecnologia decisamente evoluta e un equipaggio pluri-collaudato. Come una regina dei mari. Come una Queen Mary (2).

Per informazioni: www.crocierecunard.it www.giocoviaggi.com/cunard-line

@elenaluraghi

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