Prima il Wall Street Journal e il Financial Times, poi Bloomberg. La grande stampa finanziaria degli Stati Uniti  scarica tutta la responsabilità del calo delle Borse internazionali su quella che considera la  campagna «anti-austerità» rilanciata dal Pdl in vista dell’ormai prossimo appuntamento elettorale. In buona sostanza, secondo i commentatori Usa, i mercati avrebbero valutato negativamente l’annuncio di Silvio Berlusconi di restituire  l’Imu sulla prima casa alle famiglie italiane come primo atto di governo (in caso di vittoria) per rimediare alla scartavetrata di tasse con cui il governo di Mario Monti ha ulteriormente danneggiato (e questo è inconfutabile) i già pericolanti bilanci di imprese e cittadini.

Wall & Street non sono spocchiosi e non vi parlano di politica. E anche in questo caso vi invitano a non sottovalutare alcuni elementi che il clamore mediatico ha portato a trascurare. E soprattutto vi pongono una domanda. Può la promessa di restituire 4 miliardi di Imu far aumentare la volatilità della Borsa e far salire lo spread tra Btp e Bund? La risposta ve la anticipiamo. NO!

 

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Ecco perchè:

1) L’euro-dollaro nelle ultime settimane è giunto a un passo da quota 1,4 (attestandosi a un massimo di 1,3711), un livello da mettere le vertigini visto lo stato di Eurolandia. Vi risparmiamo la solita minestra  (la rivalutazione penalizza gli stati più deboli dell’Eurozona e in misura minore la Germania che comunque compensa le perdite di competitività sull’estero, rafforzandosi sempre più sul mercato dell’area euro) che comunque è verissima. Qui si tratta di andamento del mercato: 1,37 è un livello per ora non sostenibile e un po’ la Bce (molto molto poco) un po’ i grandi investitori che prendono profitto cominciano a scaricare attività denominate in euro come titoli di Stato, azioni, eccetera. L’euro/dollaro attualmente è poco sopra 1,34 e con le polemiche tra Francia e Germania su bilancio Ue e soprattutto sulla svalutazione della moneta unica, il trend è destinato a proseguire. Chiaro che questa tendenza abbia come effetto la discesa dei corsi di azioni e obbligazioni; di conseguenza  non può stupire la discesa ora in corso, con la connessa debolezza del settore obbligazionario.

2) Il fenomeno della heavy rotation (grande rotazione di portafoglio). I principali fondi Usa – come segnalano Jw Partners e R&CA) stanno variando la composizione dei loro investimenti. I bassi rendimenti offerti dai titoli obbligazionari di breve durata e i segnali (timidi ma consistenti) di ripresa degli utili societari da parte delle grandi multinazionali stanno suggerendo di spostare verso l’azionario (soprattutto Usa) l’attenzione. È un fenomeno ancora in divenire (soprattutto fino a quando non si avrà chiarezza definitiva sulla possibilità o meno di un ulteriore rafforzamento dell’euro), ma la strada è segnata. Anche se ogni tanto i dati macro deludono queste aspettative.

Da questi due assunti deriva un corollario: «La protezione si compra in Germania». I grandi fondi e le grandi banche di investimento al momento sono propense a scommettere su una ripresa dell’attività economica negli Stati Uniti. Come abbiamo visto qualche indicazione c’è e sembra incoraggiante. Ma gli investitori professionali non prendono decisioni senza prima sottoscrivere una polizza assicurativa. E questa polizza si chiama Germania. Ogni grande speculatore (nel senso buono del termine) ha in portafoglio Bund tedeschi o tassi dell’area euro. Se le cose vanno male, lì c’è un rendimento bassissimo che salvaguarda il capitale.

Ne consegue che tutti coloro che rendono questa compagnia assicurativa con sede a Berlino e con amministratore delegato Angela Merkel meno affidabile siano guardati con sospetto. E proprio per questo concludiamo con una domanda retorica di natura politica. Per quale ragione pensate che qualche giorno fa il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, sia andato in pellegrinaggio  a Berlino? Per bersi una birra guardando la  Porta di Brandeburgo? Naah…

Wall & Street

 

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