[photopress:DEBITO.png,full,centered]

Quello che vedete qui sopra è un grafico del rapporto debito/pil in Italia dal 1900 a oggi. Lo ha pubblicato Bloomberg per ricordarci, ove mai ce ne fosse bisogno, che a fine 2012 l’Italia ha raggiunto un nuovo record con un rapporto al 127%, il più alto dai tempi di Benito Mussolini. Anzi, a essere precisi dal biennio 1924-1925 quando – tra elezioni e successiva legiferazione dittatoriale – il Duce conquistò il potere assoluto nel Paese. A quei tempi il debito/pil viaggiava attorno al 160 per cento. Ma erano altri tempi…

Quello che però a Bloomberg interessa molto meno è il fatto che la curva del debito sia scesa a partire dal 1926 per riportarsi verso il 100% in un battibaleno. Che cosa successe? Il ministro delle Finanze, Conte Giuseppe Volpi di Misurata, su impulso del presidente del Consiglio Benito Mussolini, decise il consolidamento del debito pubblico: i titoli di Stato furono resi inconvertibili per 10 anni e furono sostituiti da obbligazioni trentennali al 5 per cento. Ecco svelato il trucco, che per i risparmiatori italiani si tradusse in una vera e propria «mazzata».

Ed ora eccovi alcune dichiarazioni rese dal personaggio politico del momento: il (non) leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo:

«L’Italia non ha più chances se non quella di rinegoziare il suo debito. Nel giro di sei mesi i partiti non potranno più pagare le pensioni, né gli stipendi pubblici e se gli interessi sul debito ammontano a 100 miliardi di euro all’anno, siamo morti».

«Se non cambiano le condizioni l’Italia deve lasciare l’euro e tornare alla lira. Ritrattare il debito pubblico con le banche è una delle prime urgenze».

Insomma, a leggere bene (e le parole non lasciano molto spazio alle interpretazioni) pare proprio che la ricetta di Beppe Grillo – tenuto conto che un referendum online sull’euro è un periodo ipotetico dell’irrealtà – non sia molto dissimile da quella del Conte Volpi di Misurata (e del suo dante causa).

Ci sono però, alcuni fattori di cui tener conto.

Nel 1926, per quanto il mondo non fosse ancora «globalizzato», l’Italia compiendo la scelta della ristrutturazione del debito si precluse per molti anni l’accesso al mercato internazionale del debito. In pratica, i titoli italiani non avevano più mercato perché il nostro Paese era ritenuto inaffidabile. Questo è il motivo per il quale nel 1982, in pieno dramma da debito, né Guido Carli né Bruno Visentini decisero di non ristrutturare pur avendo vagliato quell’ipotesi in quanto – come si vede dal grafico stesso – i governi di centrosinistra, quelli di solidarietà nazionale e infine quelli del pentapartito avevano fatto esplodere la massa del debito a causa di spese dissennate (baby pensioni in primis).

Il ragionamento di Grillo è molto lineare: il debito costa 90-100 miliardi all’anno, le banche estere ne detengono una gran quantità, è ingiusto che per onorare gli interessi l’Italia debba compiere rinunce assai dolorose. Grillo, però, non tiene conto che su circa 1.700 miliardi di titoli di Stato in circolazione (gli altri 300 miliardi di debito pubblico sono sotto altre forme), più o meno 1.000 miliardi sono qui in Italia. Per la precisione, guardando i dati di Bankitalia, 650 miliardi sono nei portafogli dei nostri connazionali e 350 miliardi sono in «pancia» alle nostre banche (che ormai sono diventate degli hedge fund che speculano sui Btp usando la liquidità a buon mercato della Bce, purtroppo questa per loro è diventata l’unica fonte di guadagno). Se ristrutturassimo, i primi a essere colpiti saremmo noi stessi…

Per concludere, osserviamo la parte più trascurata (e purtroppo dimenticata) del grafico di Bloomberg. Come si vede, dopo la Seconda Guerra Mondiale il debito/pil italiano, cresciuto durante il conflitto, decrebbe in maniera molto rapida portandosi dal 120% circa al 24 per cento. Tutto merito di Luigi Einaudi, uno dei pochi veri (e grandi) liberali italiani. Non volendo istituire un’imposta patrimoniale per sopperire fiscalmente allo sbilancio, decise di lasciare libera l’inflazione di fluttuare: il debito pubblico italiano si svalutò immediatamente e con una politica economica accorta già all’inizio degli anni ’50 l’Italia era uno dei Paesi più virtuosi che ci fossero nell’occidente industrializzato. Lo choc inflazionistico si riassorbì molto presto e da lì partirono le basi del boom economico.

Oggi questa ricetta sarebbe impossibile da applicare perché il principale compito della Bce è proprio quello di difendere l’Eurozona dall’inflazione. Quest’ultima, infatti, è il principale nemico della Germania che ricorda come un incubo i tempi della Repubblica di Weimar. E se non si può seguire l’esempio di Einaudi, è chiaro che la voce di Grillo (e quella del suo antesignano) risuoni molto più forte.

Wall & Street

 

Tag: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,