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Le famiglie e le imprese italiane sono allo stremo delle forze, schiacciate dalle tasse introdotte dal governo Monti per tenere l’Italia agganciata all’euro, sottomettendola al «giogo» imposto dalla Germania di Angela Merkel. Le rilevazioni dellIstat offrono una plastica rappresentazione del disastro lasciato dai «Professori»: le tasse sono cadute su un’economia già distrutta dalla recessione, facendo grippare i consumi interni e deflagrare la disoccupazione, mentre cresce il numero delle imprese che scappano all’estero. Abbiamo raccolto la collera degli artigiani nei confronti dell’Europa a trazione tedesca dalla bocca del presidente di Cna Servizi, Stefano Mazzocchi, e riportato i severi giudizi degli economisti Loretta Napoleoni e Claudio Borghi, che hanno sostenuto l‘opportunità per l’Italia di dire addio all’euro. Ora diamo spazio al mondo degli advisor con Sergio Carbone, che dopo aver guidato l’area Fondi interprofessionali e Certificazioni dell’Irsa (Istituto per la ricerca e lo sviluppo delle assicurazioni), si occupa di consulenza con la sua Projectland.

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Come giudica l’Europa a guida tedesca?

«Mi verrebbe da dire che si tratta di un ossimoro. L’Europa non dovrebbe muoversi in base ad indirizzi e indicazioni unilaterali ma procedere seguendo progetti e linee guida che rappresentino la sintesi delle istanze di tutti i Paesi membri. Non è escluso, poi, che mantenendo questa linea la Germania non finisca per isolarsi rispetto al resto dei partner europei, dai quali diventa sempre più assurdo pretendere sacrifici fortemente penalizzanti per le rispettive economie e la relativa stabilità politica interna».

Le imprese e le famiglie italiane quanto possono ancora resistere?

«Su questo tema credo sia onesto premettere che la situazione di difficoltà è anche il frutto di 30 anni di immobilismo politico oltreché delle scelte di rigore adottate dal governo in carica, in sintonia con i desiderata tedeschi. Quanto si potrà resistere? Auspico si risolva tutto in fretta perché non ci rendiamo conto del disastro che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Ogni impresa che chiude brucia valore economico e capitale umano preziosissimi».

Concorda con quanti vorrebbero espellere la Germania dall’euro?

«Credo si debba avviare un processo di revisione profonda dei trattati che ponga al centro dell’attività dell’Unione Europea le sostanziali differenze economiche tra i vari Paesi membri quali driver di costruzione delle future collaborazioni. Ciò che è emerso chiaramente negli ultimi anni di esperienza europea, aldilà del nodo principale costituito dal deficit politico e rappresentativo delle istituzioni comunitarie, è che regole uniformi e rigide non possono garantire la coesione e lo sviluppo armonico di tutte le economie europee nello stesso modo. Questa è diventata l’Europa dei divari».

Ritiene lo spread un indicatore economico affidabile?

«Lo spread, aldilà degli aspetti tecnici che lo connotano, è un indicatore di fiducia. Il suo andamento dimostra ciò che la comunità finanziaria internazionale pensa di uno Stato in un determinato periodo storico. Se vogliamo stare nell’economia globale non possiamo trascurarne i segnali anche in funzione del fatto che una quota significativa del nostro debito è detenuta all’estero. Oggi la priorità, però, si chiama economia reale».

La Germania è egemone anche perché può contare sia su conti pubblici in ordine sia su un sistema industriale solido, l’Italia che cosa può fare considerando che la produzione tiene grazie ai sacrifici delle piccole e medie imprese?

«Su questo ci sarebbe molto da discutere. Quando parliamo di solidità non dobbiamo mai trascurare che l’Italia è ancora oggi l’ottava economia del pianeta. E’ vero che in valore assoluto l’andamento del nostro pil negli ultimi anni ha registrato andamenti decrescenti e che mai come in questo periodo abbiamo assistito a una decimazione così forte delle nostre imprese. E’ altrettanto vero che una buona razione di riforme potrebbe riportare il nostro Paese in una condizione decisamente migliore ed in tempi brevi».

Come valuta le misure di austerity?

«Molto pericolose per una ragione precisa: il rinvio delle riforme strutturali. Ragionare solo sul fronte degli aspetti contabili, oltre ad impoverire famiglie e imprese, determina la disaffezione dei cittadini verso le istituzioni, poiché i problemi rimangono tutti sul tappeto, associati alle difficoltà economiche.

E’ d’accordo con quanti giudicano alla stregua di un «genocidio» i casi di suicidio che si stanno verificando tra gli imprenditori rimasti senza liquidità?

«Se proprio dobbiamo utilizzare una metafora forte, parlerei di omicidio colposo».

Lei è uno studioso di Internet, come si può sfruttare la Rete per rilanciare l’economia?

«Ottimo quesito che mi permette di sottolineare ancora l’urgenza del tema delle riforme. Nel resto del mondo, in quelli che di solito chiamiamo Paesi evoluti, le dot com producono fatturati maggiori al pil di intere nazioni, la banda larga copre territori enormi a prescindere dalla densità abitativa, nelle scuole si utilizzano i tablet e la pubblica amministrazione parla con i cittadini via web. A che serve discutere di cosa si può fare con Internet se nel nostro Paese, avendo rinunciato al cambiamento, siamo in pieno digital divide?».

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