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La peggiore crisi dal Dopoguerra ad oggi sta falciando le imprese italiane e con esse le possibilità di impiego: secondo l’Istat, considerando disoccupati e sfiduciati, sono 5,7 milioni gli italiani in cerca di un posto lavoro. Un quadro a tinte fosche, davanti al quale è indispensabile essere pronti a reinventarsi, anche diventando imprenditori di se stessi. Dopo la Guida per trovare  lavoro a 18, 25 e 50 anni proseguiamo quindi la galleria di interviste, avviata con il giuslavorista Michele Bignami, «rubando» i segreti per fondare un’azienda di successo a Massimo Mauri. L’imprenditore di 42 anni che, dopo aver fatto esperienza nel mondo del private equity e aver guidato come top manager Zest Gaming e della quotata Eurotech, ha creato la sua Ebooks&Kids con l’obiettivo di fare affari nel mondo dell’editoria digitale. In particolare Ebooks&Kids crea App in nove lingue, destinate ai bambini dai due e dieci anni, con contenuti ludico-didattici.

[photopress:massimo_mauri_foto.jpg,thumb,alignleft] La disoccupazione, soprattutto tra i giovani, ha raggiunto livelli da incubo. Con quali interventi è possibile migliorare la situazione?

«Attraverso l’utilizzo combinato di politiche di breve periodo, come flessibilità e sgravi fiscali per le aziende che assumono giovani, e di azioni di medio lungo periodo che prevedano il miglioramento del sistema di collegamento tra l’istruzione e la formazione».

Pensa che il sistema di istruzione-formazione-orientamento al lavoro in Italia funzioni? Come migliorerebbe l’impianto?

«Il sistema d’istruzione, guardando crescere i miei tre figli funziona, anche se penso che sarebbe utile incrementare la retribuzione degli insegnanti visto l’importante ruolo che ricoprono nella crescita delle future generazioni. Altro aspetto su cui lavorare è  il sistema di  formazione-orientamento al lavoro, che potrebbe essere migliorato, creando specifici programmi per l’inserimento dei giovani in azienda ( per brevi periodi di tempo ) già a partire dai 16 anni.  Più in generale ritengo che investire in educazione-formazione equivalga a creare un volano di crescita nel medio- lungo periodo. Basti pensare a una recente decisione del governo brasiliano, che ha previsto di arrivare al 2020 a investire in tale campo il 10% del pil. In Italia invece secondo  dati 2012 si spende in istruzione il 4,7% del pil contro una media Ocse del 5,8%. Bello sarebbe aumentare il dato del nostro Paese magari anche grazie al supporto delle imprese».

Lei ha intrapreso la sfida da imprenditore. Quali sono stati i maggiori ostacoli che ha incontrato?  

«Chi come me viene da esperienze manageriali incontra generalmente ostacoli che si rivelano superabili con la tenacia e la determinazione. Chi invece, e penso ai giovani soprattutto, vuole iniziare la propria vita professionale avviando un’impresa incontra diverse difficoltà, alcuni delle quali nascono dal fatto di avere un quadro normativo in continua evoluzione e un’eccessiva instabilità politica. Questi due elementi nell’impresa spesso si traducono in difficoltà a trovare soci finanziatori».

Quali qualità occorrono per lanciare una start up oggi in Italia? Quali consigli darebbe ai giovani che desiderano seguire il suo esempio?

«Prima di tutto immaginare il futuro e di conseguenza definire il mercato, oggi la prima domanda che bisogna farsi prima di avviare  un’attività è la seguente: “il business in cui si inserisce il mio prodotto esisterà ancora nei prossimi 20 anni?”. Poi bisogna costruire un business model scalabile, dove i costi non crescano necessariamente in proporzione ai ricavi,  bisogna cercare di non pensare ad avere dei ritorni immediati e prevedere di rinvestire eventuali utili per migliorare la propria società. Infine, ma non ultimo, bisogna gettare il cuore oltre l’ostacolo».

Che cosa ne pensa del «Decreto per le start up» firmato da Passera con l’ex governo Monti? Come lo migliorerebbe?

«Penso che sia un ottimo decreto per stimolare la ricerca e l’innovazione fuori dall’università, ma trasformare poi l’innovazione in un azienda è un’altra cosa. E’ certamente un inizio su una strada poco esplorata dalla politica quindi utile. Lo strumento potrebbe essere migliorato, per esempio rendendolo accessibile anche ad aziende (start up) che si prefiggono tra i loro obbiettivi l’utile già nel primo esercizio».

La rete dei business angels funziona? Come si fa a farsi notare?

«La rete non funziona, ci sono pochi capitali e quasi nessun business angel. Ci sono invece parecchi investitori con propensione al rischio troppo bassa per fare investimenti in aziende innovative».

Che cosa manca di più alle piccole imprese italiane, denaro o idee?

«Penso che sia soprattutto un problema di mentalità: i piccoli medi imprenditori italiani son rimasti agli anni ’80 e quindi attaccati alle logiche dell’impresa familiare. Ora la globalizzazione e le nuove tecnologie impongono internazionalizzazione , aumento dimensionale, competenze manageriali e velocità d’esecuzione.  Se non si cambia mentalità si resta al palo».

Di che cosa ha più bisogno il nostro sistema industriale per ripartire?

«Sarò sincero: andrebbe almeno in parte trasformato per puntare sulle eccellenze che da sempre caratterizzano l’Italia e gli italiani. Occorrerebbe, quindi, dotarsi di una politica industriale basata su innovazione e ricerca,  individuando i settori strategici per il Paese e su quelli puntare con investimenti e pianificazioni di medio lungo periodo».

Come giudica l’impianto normativo del mercato del lavoro?

«Tutto è migliorabile per carità, ma nel complesso non  mi sembra così male».

Come migliorerebbe la Legge Biagi e l’articolo 18?

«Credo che debba essere integrato con alcune norme utili a promuovere il lavoro. Oggi l’impegno dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali deve essere congiunto e non contrapposto. Inutile discutere con toni anche accesi dell’articolo 18 per molti mesi, quando invece si sarebbe potuto concentrare le stesse risorse per dibattere su iniziative volte alla promozione del lavoro. Il mercato del lavoro purtroppo dal 2008 a oggi è profondamente mutato, dobbiamo prenderne atto e insieme imprenditori e lavoratori devono trovare soluzioni eque alla ricerca di una nuova normalità e di nuovi equilibri».

Molti si lamentano del peso della mano pubblica, ma i controlli sia normativi sia fiscali fanno parte dell’agire di uno Stato di diritto, come imprenditore con quale tipo burocrazia vorrebbe interloquire?

«Ok per i controlli, ma la burocrazia dovrebbe essere snellita e soprattutto dare certezze normative all’imprenditore. Solo una maggiore stabilità, declinata in ogni sua forma, può dare fiducia al mondo dell’impresa e in quelli strettamente collegati a esso».

Che cosa si aspetta dal governo Letta?

«Cambiamento e miglioramento della situazione economica».

Non pensa che sarebbe meglio concentrare il sostegno al reddito da forme passive come la Cigs a forme attive che favoriscano la formazione per il reinserimento e l’auto-imprenditorialità?

«Assolutamente si. La Cigs e le altre forme passive di sostegno sono figlie di un’epoca oramai tramontata definitivamente.  Chi perde il lavoro deve essere aiutato e supportato non con forme di assistenzialismo ma con azioni volte a favorire il suo reinserimento nel mercato del lavoro o dell’imprenditoria. Solamente queste azioni sono in grado di provocare nelle persone un ritorno di fiducia in se stessi e quindi a intraprendere nuove sfide».

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