Nel 2012 lo Stato, secondo le previsioni assestate del bilancio del Dipartimento affari di giustizia del Ministero di Giustizia, avrebbe speso 244, 8 milioni di euro per le intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura. Per il 2013 la stima è di 209,8 milioni, con un risparmio di 35 milioni. Si prevede inoltre di spendere 442mila euro per l’acquisto e la manutenzione di macchinari per le intercettazioni stesse. Insomma, sarebbe comunque un bel risparmio, visto che nel 2011 e nel 2010 per il capitolo 1363 (istituito dal governo Berlusconi per controllare meglio questo tipo di uscite) sono stati spesi rispettivamente 285 e 260 milioni di euro.

Perché abbiamo usato il condizionale nell’attacco di questo post? Perché si tratta di un caso nel quale le previsioni e la spesa finale per cassa tendono a discostarsi fortemente. Il debito del ministero di Giustizia, infatti, è un’entità sommamente variabile. Alla fine del 2011 risultava un ammanco di circa 100 milioni di euro. All’inizio dello scorso anno sono stati ripianati circa 19 milioni relativi proprio al capitolo intercettazioni. Oltre 300 milioni, poi, sono relativi ai risarcimenti sanciti dalla Legge Pinto che garantisce a ogni cittadino un’equa durata del processo. Lo Stato ha stanziato 50 milioni, ma si tratta di una goccia nel mare, considerato che nuove ingiunzioni di pagamento si aggiungono alle vecchie. Per quanto riguarda l’anno in corso, non vi sono ancora cifre precise, ma non sbagliamo di molto se affermiamo che al neoministro Annamaria Cancellieri 400 milioni in più farebbero sicuramente comodo. Non foss’altro perché le spese ordinarie hanno di fatto azzerato le disponibilità per il «piano carceri», ossia la nuova edilizia penitenziaria che dovrebbe garantire migliori condizioni di vita ai detenuti.

Perché abbiamo usato il condizionale all’inizio di questo post? Perché con la gara nazionale per la gestione del servizio di ascolti telefonici e ambientali il ministero si aspetta di ottenere risparmi tra i 200 ed i 250 milioni di euro l’anno, già inseriti nel decreto legge sulla spending review. Delle due l’una: o le intercettazioni costano più di quanto dichiarato oppure nelle spese generali di giustizia nei procedimenti penali e civili (capitolo 1360), stimate in 470 milioni per quest’anno, residua ancora qualcosa relativa all’ascolto degli indagati.

Nessuno qui intende mettere in dubbio che le intercettazioni siano uno strumento utile al perseguimento dei crimini. Certo, fa specie osservare che nel 2010 (anno per il quale il ministero ha elaborato l’ultima statistica) a guidare la classifica della spesa sia il distretto giudiziario di Milano, dove nel 2010 gli uffici giudiziari hanno liquidato 39,6 milioni per questa tipologia di spese. Seguono Palermo (34,7 milioni), Reggio Calabria (31,3 milioni), Napoli (25,1 milioni) e Catania (17,9 milioni). Insomma, la capitale della Lombardia spende di più delle Procure più impegnate nel contrasto alla criminalità organizzata. Certo, mafia e ‘ndrangheta agiscono moltissimo al Nord e il contrasto dei reati finanziari spesso presuppone l’uso delle intercettazioni. Però, la disparità di proporzioni non si può non rilevare. Soprattutto se si considera che mentre Napoli ha «ascoltato»oltre 21mila bersagli (così si chiamano in gergo), Milano si è concentrata su 15mila, dunque il costo procapite è più elevato.

Nel 2010 lo Stato ha eseguito oltre 181 milioni di intercettazioni, setacciando le conversazioni di 139mila utenze. Servono veramente? I dati della Procura di Torino sembrano confermare che lo strumento, se usato con cura, è efficace. Nel 2010 nel capoluogo piemontese sono stati intercettati 7.203 bersagli per una spesa di 5,6 milioni (erano 8,3 milioni nel 2008); la durata media è stata di 36 giorni a fronte dei 57 per le Direzioni distrettuali Antimafia. L’Ufficio Intercettazioni della Procura di Torino ne ha disposto l’utilizzo soprattutto per reati contro la persona (22,7% dei casi), per traffico di stupefacenti (22,3%) e per reati contro il patrimonio (20,1%).

La macchina della giustizia costa 4,1 miliardi l’anno, le retribuzioni degli 8.912 magistrati incidono per 1,2 miliardi. Se ne deduce che il resto della spesa corrente è destinata al funzionamento dell’impianto giudiziario. E forse i margini di risparmio non sono così ristretti come si pensa.

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