Sette anni di crisi prima economica e poi finanziaria, con l’acme della guerra dello spread imposta dalla Germania di Angela Merkel, hanno messo sulla strada milioni di italiani. Lasciati senza impiego e alcuna prospettiva di reddito. La cura di sole tasse voluta dal governo Monti e il fallimento della Riforma Fornero hanno aggravato la situazione, trasformando il mercato del lavoro del nostro Paese in un malato quasi terminale: la disoccupazione si avvicina al 12%, un giovane su 3 è senza impiego, senza contare la piaga degli esodati, abbandonati dai Professori senza stipendio nè pensione. Wall & Street ha già proposto un’articolata guida in tre puntate con tutti i modi per trovare lavoro a 18 anni (i ragazzi che stanno per terminare le superiori), per quanti a 25 anni si avvicinano al mondo delle imprese freschi di laurea, e per quanti a 50 anni sono stati espulsi dalla propria azienda. Dopo aver ascoltato il parere di giuslavoristi (sulla necessità di cambiare l’articol0 18 e di modificare l’impianto dei contratti atipici), imprenditori (su come mettersi in proprio creando un’impresa di successo), sociologi (su quali siano i corsi di laurea che offrono maggiori possibilità di trovare un impiego) e architetti (su come il design può salvare il made in Italy), chiediamo che cosa si deve fare per far ripartire l’occupazione a Luigi Brugnaro, presidente di Assolavoro, l’Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro ed espressione italiana di Eurociett.


Presidente Brugnaro, quasi un milione di famiglie è rimasta senza alcun reddito a causa della crisi. Quali sono le professioni ancora ricercate in Italia?

«Oggi le imprese richiedono competenze sempre più mirate, si va verso una forte specializzazione del lavoratore. Servono, ad esempio, progettisti e tecnici per l’industria, esperti nel settore Ict. C’è anche una forte domanda nei cosiddetti “white jobs”: infermieri e addetti alla cura delle persone anziane e dei bambini. Ma soprattutto vi è un dato che va tenuto in conto quattro nuovi posti di lavoro su dieci, in Europa, richiedono competenze prima non previste. Formarsi e aggiornarsi continuamente è il modo migliore per affrontare anche questa fase».

 

Quale contributo possono dare all’occupazione le agenzie per il lavoro?

«Le agenzie per il lavoro possono svolgere un ruolo di primo piano per accrescere la competitività delle imprese e favorire lo sviluppo economico dell’intero sistema Paese. La velocità di risposta a una commessa, per esempio, può determinare l’acquisizione di quell’ordinativo e quindi la crescita sul mercato o il ridimensionamento della stessa impresa. Individuare tempestivamente la persona più indicata per quella specifica posizione lavorativa e impiegarla per il tempo che è richiesto da una commessa favorisce la competitività. Chi ha scoperto i vantaggi che derivano dall’affidarsi ad un’agenzia per il lavoro, infatti, ha avuto migliori performance sul mercato. Le agenzie per il lavoro, più in generale, favoriscono l’incontro tra domanda e offerta di lavoro attraverso servizi integrati di ricerca, selezione e formazione finalizzata, senza costi aggiuntivi per le casse pubbliche».

 

La riforma Fornero è rimasta una grande incompiuta. Quali correttivi apporterebbe?

«È doverosa una premessa: la stretta imposta all’utilizzo distorto di forme di flessibilità “precarizzanti”, come le false partite Iva e le finte collaborazioni, è un risultato importante per qualificare il mercato del lavoro e rappresenta un punto fermo, di non ritorno. Ciò detto tanti sono i miglioramenti e le novità che possono favorire il rilancio dell’occupazione. Prima di tutto i servizi per il lavoro: l’interazione tra attori specializzati privati, quali sono le agenzie, e servizi pubblici deve essere una costante virtuosa, anche attraverso la valorizzazione di esperienze positive a cui ha partecipato attivamente Assolavoro sul territorio. Vanno garantiti standard minimi di prestazione dei servizi per il lavoro indipendentemente dalla Regione in cui vengono erogati e contemporaneamente la possibilità di differenziarli a seconda del diverso grado di occupabilità del candidato».

 

Sono necessarie nuove modifiche alla Legge Biagi e all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? In quale direzione?

 «Gli obiettivi più urgenti riguardano la riduzione delle tasse sul lavoro, assieme a una semplificazione normativa e a un sistema di politiche attive funzionanti, misurabili, premianti. Il resto, in questo momento storico, viene un attimo dopo».

 

Quali correttivi apporterebbe all’apprendistato e all’outplacement?

 «Per quanto riguarda l’apprendistato la possibilità che sia l’agenzia per il lavoro a gestirla, valorizzando l’esperienza maturata relativamente a formazione finalizzata e gestione dei piani formativi è sicuramente un aspetto positivo. Va ridotta la burocrazia e favorito un percorso mirato a stabilizzazioni conseguenti. Circa l’outplacement c’è una questione di fondo che attiene alla necessità di promuovere la cultura della responsabilizzazione delle imprese, preventiva all’ingresso in situazione di crisi conclamata. Anche attraverso il coinvolgimento dei fondi inter-professionali è possibile strutturare interventi per tempo, così da ridare slancio a un’attività prima che si faccia troppo tardi».

 

Come migliorerebbe il sistema di istruzione-formazione-orientamento al lavoro in Italia? Come migliorerebbe l’impianto?

«Alcuni passi avanti sono stati fatti, ma manca un sistema di collegamento forte tra sistema formativo (non solo prima del lavoro, ma anche durante la vita lavorativa) che misuri i risultati e premi chi crea le condizioni per l’inserimento o il reinserimento al lavoro».

 

Che cosa stanno chiedendo le imprese alle Apl?

«Servizi efficienti e tempestività per le imprese che si rivolgono alle Agenzie per il Lavoro in funzione “tattica”, di attesa, sono le principali esigenze. Capacità di interpretare le strategie dell’azienda e di contribuire a renderla più competitiva, liberandola da burocrazia, costi non necessari, rischi nella gestione del personale sono altri elementi che emergono nei casi in cui le relazioni sono più strutturate e le aziende hanno avuto modo di scoprire già i vantaggi competitivi che derivano dall’avere un’agenzia come partner strategico».

 

Quale ritiene sia il modo migliore per coniugare la necessità di “sicurezza” di cui necessitano le famiglie con la “flessibilità” richiesta dalle imprese per competere (flexicurity, “Modello danese” …)?

«Mi si conceda una premessa: la somministrazione rappresenta l’unica forma di flessibilità che assicura al lavoratore gli stessi diritti, le stesse tutele e la stessa retribuzione dei contratti alle dirette dipendenze dell’azienda utilizzatrice, oltre a una serie di prestazioni aggiuntive finanziate dal settore. In questo momento, escluso solo (e neanche sempre ahimè, i contratti a tempo indeterminato) i lavoratori impiegati dalle agenzie a tempo determinato sono quelli con maggiori opportunità di reinserimento, oltre che di stabilizzazione. Infatti, se termina un contratto a termine o l’azienda assume il lavoratore o quest’ultimo sarà solo a cercare una nuova occupazione sul mercato. Se termina una missione tramite agenzia quest’ultima si prenderà cura del lavoratore, cercando i percorsi formativi, nuove opportunità di occupazione, percorsi di stabilizzazione che meglio si attagliano ai singoli profili. Quello che occorre è strutturare un sistema che su più larga scala preveda servizi e sostegno per chi non lavora, tutti finalizzati al suo migliore e più rapido reinserimento. Premiare chi porta a casa questo risultato fondamentale per il singolo e per il sistema Paese è uno spunto che merita maggior riflessioni anche in sede legislativa».

 

La formazione è oggi gestita in modo disarticolato, disperdendo le risorse tra le Regioni senza un coordinamento e relegando il settore privato a un ruolo di supplenza. Come interverrebbe? 

«La formazione tempestiva, mirata e fortemente finalizzata rappresenta una leva competitiva essenziale per le agenzie per il lavoro e può essere centrale nel rilancio dell’intero sistema Paese. Anche qui occorre strutturare un sistema di misurazione della qualità dei servizi che i vari enti erogano e premiare chi dimostra che dispone di un sistema capace di far sì che chi cerca un’occupazione sia inserito o reinserito nel mercato del lavoro. Occorre procedere per obiettivi, premiare il merito e mantenere la formazione come una costante per tutta la vita lavorativa. Non ci sono alternative».

 

Che cosa si può fare per avvicinare l’educazione scolastica o universitaria e la formazione, che oggi continuano a viaggiare su binari separati?

«Il mondo dell’educazione e della formazione deve diventare sempre più aderente alla realtà del tessuto economico e produttivo, vanno favorite le esperienze di lavoro già durante la fase di formazione scolastica o universitaria. Anche per brevi periodi e anche per attività che non sono in linea con le aspettative di lungo periodo. CI sono cose che si imparano solo sperimentandosi in un lavoro, e occorre dare ai giovani questa opportunità, come già avviene in molti altri Stati europei».

Che cosa si aspetta dal governo Letta?

«Il Paese ha necessità di provvedimenti che rilancino la produzione (la manifattura di qualità in primis e i servizi ad alto valore aggiunto) e con essa l’occupazione e la ricchezza. Ci vuole il contributo di tutti, ciascuno per la propria parte. Quello che possiamo confermare senza tema di smentita è che le agenzie per il lavoro possono svolgere un ruolo rilevante per favorire la competitività delle imprese, il rilancio dell’economia e dell’occupazione, ben oltre la funzione che svolgono già ora. Tutto questo è possibile per via di un know how specifico nel settore del lavoro e nell’interazione con il sistema produttivo (e in particolare con le imprese più competitive) che è unico nel suo genere e che si basa su una rete capillare di filiali (più di 2.500 sull’intero territorio italiano). Assolavoro e le Apl sono pronti a fare la propria parte, convinti che ci sono opportunità che si possono cogliere nell’ottica win win».

Wall & Street

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