Oggi la Banca d’Italia compie 120 anni. Fu infatti la legge bancaria del 10 agosto 1893 a istituirla. E allora, come oggi, fu un’emergenza nazionale a convincere la politica che un istituto unico di emissione monetaria e di vigilanza bancaria fosse l’unico modo per monitorare il sistema finanziario italiano.

Cinque anni prima, nel 1888, era scoppiato lo scandalo della Banca Romana. Uno dei sei istituti autorizzati all’emissione di moneta era fallito poiché, a fronte di riserve auree per 60 milioni di lire, aveva coniato moneta per 133 milioni. Il credito a lungo termine concesso alle imprese edili, incappate in una fase di recessione, era costato caro all’istituto romano che aveva trascinato nel suo crollo anche parte della «Sinistra storica» del Regno d’Italia cui aveva concesso finanziamenti a basso costo.

E così Giovanni Giolitti, che pure dei prestiti della Banca Romana era stato beneficiario (ma fu assolto da ogni accusa nel seguente processo) cambiò tutto quel 10 agosto 1893.  La legge bancaria ridefinì il sistema della circolazione cartacea, che venne basato sulla copertura metallica dei biglietti e su un limite di emissione assoluto. La Banca d’Italia nacque dalla fusione di tre dei sei istituti di emissione allora operanti: la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito e la Banca Nazionale nel Regno d’Italia di Torino. La Banca Romana venne liquidata, mentre Banco di Napoli (oggi gruppo Intesa Sanpaolo) e Banco di Sicilia (fusa in UniCredit) continuarono la loro attività.

Nel 1926 il governo Mussolini decretò che la Banca d’Italia divenisse l’unico istituto autorizzato all’emissione di banconote e le furono affidati poteri di vigilanza sulle altre banche, successivamente ampliati e potenziati dalla legge bancaria del 1936. Quest’ultima riconobbe inoltre formalmente la Banca come istituto di diritto pubblico e avrebbe costituito la norma fondamentale del sistema bancario italiano fino al 1993, quando è stato promulgato il vigente Testo Unico in materia bancaria e creditizia.

Nel dopoguerra la Banca d’Italia non è stata decisiva solo per la stabilizzazione della lira, ma è stata anche una «riserva della Repubblica»: governatori e dirigenti sono spesso stati chiamati a ricoprire le più alte cariche istituzionali. A partire da Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica che nel 1947 aveva troncato l’inflazione postbellica ponendo le condizioni monetarie per il «miracolo economico» degli anni Cinquanta.

Per onestà intellettuale occorre ricordare che fino al 1981 la Banca d’Italia è stata sottoposta al controllo «politico» del Ministero del Tesoro che spingeva per ottenere emissioni di moneta allo scopo di tamponare le politiche di spesa in deficit che tutti i governi di centrosinistra – dal 1963 in poi – avevano avallato. E proprio dopo il 1981 (anche grazie al fattivo contributo del governo Craxi che mise in pratica il «divorzio» tra Tesoro e Bankitalia) che il processo di disinflazione è stato favorito in Italia da una più decisa tutela giuridica dell’autonomia della banca centrale. Né bisogna dimenticare che nel 1982 la lungimiranza del governatore Carlo Azeglio Ciampi (dietro suggerimento del ministro Beniamino Andreatta) individuò in Giovanni Bazoli la persona giusta per «salvare» il Banco Ambrosiano dal suo crac. Oggi – a 31 anni di distanza – Intesa Sanpaolo (che da lì prese le mosse) è la prima banca italiana per numero di sportelli.

Altresì non si può dimenticare la figura del governatore Antonio Fazio, successore di Ciampi dopo il suo passaggio a Palazzo Chigi nel 1993, che ne continuò l’opera di moral suasion per il riequilibrio della finanza pubblica che ha consentito all’Italia il rispetto dei criteri indicati dal Trattato di Maastricht entrando nel primo gruppo di Paesi che nel 1999 hanno adottato l’euro (che oggi si critica ma che al tempo veniva vissuto come una grande conquista con entusiasmo più o meno bipartisan). E proprio sotto la guida di Fazio è iniziata la fase di consolidamento del sistema bancario italiano – con le privatizzazioni (agevolato anche dallo scorporo tra Fondazioni e banche conferitarie promosso dalla legge Amato).  Il lungo cammino di UniCredit verso l’internazionalizzaizone è nato proprio da lì.

L’errore di Fazio è stato quello di pensare che quel processo di consolidamento potesse in qualche modo essere «teleguidato» a dispetto della reale consistenza degli attori in campo pur di difenderli da eventuali acquisizioni da parte di istituti esteri. Saranno gli storici a giudicare. Mentre non c’è bisogno degli esperti per affermare che se Mario Draghi da Via Nazionale non fosse andato alla presidenza della Bce, oggi per l’autonomia economico-finanziaria dell’Italia in ambito europeo sarebbe molto compromessa. Avere un presidente italiano non è un fatto secondario quando la Germania pensa di recitare un ruolo egemone in Europa. Così come all’ex governatore bisogna riconoscere un approccio liberale alle integrazioni bancarie che non ha posto ostacoli di nessun tipo all’ingresso (o alla crescita dimensionale) nel nostro Paese di istituti come Bnp Paribas e Crédit Agricole.

E, quindi, buon compleanno Bankitalia, con i suoi pregi e i suoi difetti. Anche se spiace constatare che la ricorrenza cada nel momento in cui il governatore Ignazio Visco è oggetto degli strali dei banchieri italiani, soprattutto dei più piccoli va detto. In vista della costituzione di una Vigilanza europea unica in ambito bancario, infatti, a Bankitalia spetta verificare che gli istituti italiani si adeguino agli standard comunitari che richiedono, da una parte, un’adeguata copertura dei crediti in sofferenza (sempre in crescita a causa della crisi) e, dall’altra, la creazione di riserve di liquidità sufficienti a fronteggiare eventuali emergenze nella raccolta di capitali sul mercato interbancario. È chiaro che questi standard mal si attagliano a un sistema che per lo più vive di prestiti alle imprese e che, proprio per rispettare le regole, è costretto a stringere i cordoni della Borsa. Ma questa è un’altra storia che dovrà ancora essere raccontata.

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