La crisi ha zavorrato le banche italiane con altri 100 miliardi di sofferenze, cioè di prestiti che famiglie e imprese non riescono a rimborsare, spesso perchè sono rimaste senza lavoro o sono fallite. Una gramigna che soffoca profitti e patrimonio dei bilanci del credito, ha detto  l’Abi denunciandone l’impennata:  a ottobre le sofferenze lorde hanno toccato  i 147,3 miliardi, 27,5 miliardi in più rispetto a un anno fa e 100 rispetto a fine 2007, per un rapporto con gli impieghi esploso al 7,7%. Il massimo da ottobre ’99.

A dare sapore ai numeri  è però il messaggio politico lanciato ai sindacati dall’associazione presieduta da Antonio Patuelli alla vigilia della ripresa dei negoziati, attesa a gennaio, che deciderà  il nuovo contratto collettivo dei 303mila bancari italiani: il settore per recuperare redditività ha bisogno di «una semplificazione delle strutture produttive e organizzative, una maggiore flessibilità dell’organizzazione aziendale, riqualificazione professionale e mobilità», «accompagnati da moderazione salariale e relazioni industriali adeguate alle sfide». A fine 2012, si legge nello studio  dell’Abi,  le banche italiane erano infatti ancora alle prese con un costo medio per dipendente, espresso a parità di potere d’acquisto, del 17% più elevato rispetto a quello dei concorrenti europei: 75mila euro rispetto a 64mila euro. Dopo la disdetta dell’accordo depositata dall’Abi e la giornata di sciopero consumatasi a fine ottobre, la  prova del disgelo  è venerdì 20 con la firma della modifica del Fondo esuberi, per adattarlo alla strettoia pensionistica creata dalla Riforma Fornero.
Secondo la Fabi di Lando Maria Sileoni, che aveva già ribaltato sulle banche la  responsabilità della cambiale scaduta delle sofferenze ed era arrivato a impugnare un’arma giocatolo a simboleggiare la pistola che l’Abi avrebbe puntato alla testa dei lavoratori sul contratto,  anche in questo caso i pallottolieri di Palazzo Altieri non funzionano:  «L’Abi dica chiaramente se nei 75mila euro di costo medio per dipendente dei gruppi bancari italiani, sono compresi gli elevati costi dei top manager e degli alti dirigenti. Noi sappiamo perfettamente che è così», attacca il leader del primo sindacato del settore, che chiede a Patuelli di esporre la propria ricetta anti-crisi. Quindi il fendente:  « Le aziende di credito «smettano di invocare quella flessibilità organizzativa che contrattualmente hanno già, ma non sanno e non vogliono utilizzare per incapacità e per i soliti compromessi con i gruppi di potere dei territori», prosegue Sileoni invitando i banchieri ad aprire un confronto con i sindacati sull’estensione delle mansioni allo sportello, anzichè «scaricare sui governi, sui lavoratori e sulla clientela la loro miopia politica e organizzativa», e a dare l’esempio sulla moderazione salariale tagliando i loro superbonus.

La guerra sul contratto che deciderà il modello di banca del futuro è ricominciata.

Wall & Street

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