L’Italia in crisi scopre il padre babysitter, che chiede il “congedo parentale” per accudire il neonato quando la madre,  terminato il periodo di maternità obbligatoria, è costretta a rientrare al lavoro. La quota di uomini che hanno beneficiato del permesso è salita dal 7% del 2008 al 10% del 2012 – calcola una ricerca condotta Aldai, Associazione Lombarda Dirigenti Aziende Industriali – anche se in nove casi su dieci l 90% dei casi ad assentarsi dal lavoro è ancora la madre. In Italia negli ultimi cinque anni, fra i lavoratori dipendenti sono stati oltre 132.000 gli uomini che hanno beneficiato del congedo parentale, contro 1 milione e 264.000 donne. Il numero annuale di permessi è cresciuto nel tempo, passando da 263.000 del 2008 a 281.000 del 2012 (con un picco di 291.000 nel 2011). E un ulteriore impulso alla diffusione dei papà babysitter potrà venire dall’applicazione della direttiva europea sui congedi parentali che stabilisce un periodo minimo di 4 mesi, di cui almeno un mese dovrà essere goduto da ciascun genitore, altrimenti sarà perduto.

 

Più papà babysitter nello Stivale

ANNO Totale Donne % Uomini %
2012 281.242 250.774 89,0 30.468 10,0
2011 290.000 259.000 89,0 31.000 10,0
2010 284.389 256.971 90,0 27.418 9,0
2009 278.209 254.143 91,0 24.066 8,0
2008 263.115 243.529 92,0 19.586 7,0
Totale 1.396.955 1.264.417 91,5 132.538 9,5

Fonte: elaborazione Aldai su dati Inps

L’Italia resta comunque agli ultimi posti in Europa nella spesa per congedi parentali,  misurata per ogni nato  in percentuale sul prodotto interno lordo pro-capite: nella Penisola il contributo pubblico si ferma al 19%, rispetto al 29% di Gran Bretagna, 27% di Germania, 24 % della Francia e 21 della Spagna. In vetta Repubblica Ceca, Ungheria e Paesi Scandinavi.  La cura dei figli – sostiene l’indagine Aldai (basata su dati Ue, Ocse e Inps)  – continua dunque a penalizzare le potenzialità di lavoro e carriera delle donne: tra le mamme dai 20 ai 49 anni, la presenza di figli piccoli (0-6 anni) riduce il tasso di impiego di circa il 2 per cento. L’analogo indicatore per gli uomini, invece, è positivo di 15,7 punti. Come dire che il fardello dei figli riduce le opportunità di lavoro per le donne, ma non per gli uomini.

Il supporto dello Stato per la cura dei figli

Spesa per neonato in % del prodotto interno lordo pro-capite per congedi parentali

Paese

valore in percentuale

Repubblica Ceca

93

Ungheria

74

Svezia

59

Finlandia

57

Norvegia

47

Danimarca

46

Repubblica Slovacca

45

Islanda

42

Lussemburgo

34

Gran Bretagna

29

Germania

27

Polonia

27

Francia

24

Spagna

21

Italia

19

Portogallo

18

Belgio

16

Austria

15

Olanda

13

Grecia

10

Irlanda

6

Fonte: elaborazione Aldai su dati Ocse, 2009

 

Nell’arco di 15 anni, in Europa si è invece quasi dimezzato il divario fra donne e uomini che lavorano: il tasso di impiego maschile dal 1997 al 2012 si è leggermente contratto dal 75,3% al 74,6%, mentre l’analogo indicatore per le donne è balzato dal 55,0% al 62,4%. Il “gap” è così sceso da oltre 20 punti percentuali a circa 12. Anche in questo caso  l’Italia è però in ritardo rispetto alla media continentale: nel 2012 il differenziale fra tassi di impiego di uomini (71,6%) e donne (50,5%) restava superiore a 20 punti. Allo stesso modo restano poche le donne che raggiungono le “stanze dei bottoni”, malgrado la percentuale di donne con studi universitari sia nettamente superiore a quella maschile: nel gruppo di età 30-34 anni, per esempio, le donne con formazione universitaria erano nel 2012 il 26,3% contro il 17,2% dell’analogo universo maschile. La media europea è del 40% per le donne e del 31% per gli uomini.

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